di Vincenzo Vita

Rai, per una volta. Lo scorso sabato 11 aprile è stato messo in onda un docu­men­ta­rio di rara effi­ca­cia, "Ila­ria Alpi. L’ultimo viag­gio". Sul tra­gico agguato alla brava e corag­giosa gior­na­li­sta, caduta per mani assas­sine il 20 marzo 1994, insieme all’operatore Miran Hro­va­tin. Curata con rigore ed effi­ca­cia da Lisa Iotti, Clau­dio Cane­pari e Mas­simo Fioc­chi, strut­tu­rata su di ban­dolo nar­ra­tivo forte e cre­di­bile, la tra­smis­sione ha dato un con­tri­buto rile­vante alla ricerca della verità su una vicenda tut­tora irri­solta. E, dopo la visione di mate­riali ine­diti, ecco un finale moz­za­fiato, augu­ra­bile pre­messa di un rapido aggior­na­mento dell’inchiesta giudiziaria.

Lad­dove, come già fu chia­ra­mente anti­ci­pato da una recente pun­tata di "Chi l’ha visto", si fa rife­ri­mento al dop­pio depi­stag­gio avve­nuto: è in car­cere un pro­ba­bile inno­cente (Omar Hashi Has­san); è stata ritrat­tata la "super­te­sti­mo­nianza" da colui (Ali Rage Ahmed detto "Gelle") che aveva reso l’atto di accusa.

Non solo. Il movente non pare pro­prio una rapina improv­visa e vio­lenta, bensì un gioco estre­ma­mente peri­co­loso, con al cen­tro il traf­fico d’armi: verso la Croa­zia, attra­verso la Litua­nia e con la longa manus della Cia. Gior­na­li­smo di pre­ci­sione, non sup­po­si­zioni urlate e gene­ri­che. Al con­tra­rio, una costru­zione ricca di ele­menti rico­gni­tivi, tracce di sto­ria recente pur­troppo rimossa.

Per­ché la Rai non fa il bis, magari in un giorno e in un ora­rio più con­fa­centi? Il sabato sera, domi­nato dalla feb­bre degli ascolti e dai colpi di coda del duo­po­lio con la gara tra le due signore del palin­se­sto –Cle­rici e De Filippi– lascia poco spa­zio ad un pro­gramma duro e rifles­sivo. Comun­que, in quelle con­di­zioni così imper­vie, il 4,03% di share (poco meno di un milione di spet­ta­tori) mostra che c’è il poten­ziale per rico­struire un ser­vi­zio pub­blico di qualità.

Tra l’altro, lo spe­ciale è ini­ziato con uno sfo­ra­mento di ben 33 minuti rispetto alla cadenza pre­vi­sta: grave sem­pre, ma per­sino sgra­de­vole per un appun­ta­mento seguito da un pub­blico spe­ci­fi­ca­mente inte­res­sato. Simile brutta pra­tica è, del resto, stig­ma­tiz­zata dalla "Carta dei diritti e dei doveri", ma nella tele­vi­sione ita­liana le regole sono spesso un optional.

Per aggiun­gere qual­che ulte­riore con­si­de­ra­zione amara, pur a fronte di una espe­rienza posi­tiva, va sot­to­li­neato il curioso affi­da­mento a una società esterna di un lavoro dedi­cato a una gior­na­li­sta della Rai uccisa men­tre svol­geva il suo impe­gno di repor­ter in una zona di guerra. Non "«embed­ded", bensì libera e fuori dagli schemi. Inol­tre, sono com­parse dav­vero troppe inter­ru­zioni pub­bli­ci­ta­rie, per­sino nell’apice dram­ma­tico e toc­cante che chiu­deva l’inchiesta: spez­zato da uno spot sull’Expo.

Cer­ta­mente i fini dici­tori diranno che non si trat­tava di news, ma di "docu­fic­tion", cui sono per­messe le inser­zioni com­mer­ciali. Tut­ta­via, oltre al diritto (poniamo) esi­ste lo stile. Ed è spia­ce­vole che in una cir­co­stanza simile i diri­genti della Rai non abbiano sen­tito l’esigenza di rispet­tare la memo­ria di una pro­fes­sio­ni­sta che ha reso onore al ser­vi­zio pub­blico e all’informazione.

Ila­ria Alpi entrò alla Rai per con­corso, aveva una pas­sione smi­su­rata per il rac­conto della realtà, cono­sceva diverse lin­gue – com­preso l’Arabo — per poter capire il vil­lag­gio glo­bale. Piena di intui­zioni, ancora gio­va­nis­sima scri­veva –nel 1986– dei "Fra­telli Musul­mani" su una testata indi­men­ti­ca­bile come Paese sera.

Ora abbiamo l’obbligo della verità, per lei, per Miran Hro­va­tin, per il com­pianto padre Gior­gio Alpi. E per una madre d’oro, Luciana.

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