di Domenico Cirillo

Il patto non piange e la ferita dell’elezione del pre­si­dente della Repub­blica senza il voto di Sil­vio Ber­lu­sconi (ma con quello di molti dei suoi) si è rimar­gi­nata subito. "Lascia­mo­gli qual­che giorno", dice­vano in effetti nel cer­chio stretto ren­ziano men­tre ancora si con­ta­vano i voti per Mat­ta­rella, e di giorni ne sono ser­viti solo due.

Per Ber­lu­sconi, le buone noti­zie di ieri hanno certo aiu­tato. E non tanto l’accoglienza oggi alla ceri­mo­nia al Qui­ri­nale — ai capi par­tito non sono mai man­cati gli inviti per l’insediamento del pre­si­dente della Repub­blica — quanto per la deci­sione del tri­bu­nale di sor­ve­glianza di scon­tar­gli la pena: misura pre­vi­sta, ma per la quale la pro­cura di Milano aveva dato parere con­tra­rio. Un’umiliazione in meno, per l’ex Cava­liere costretto a tenersi avvin­ghiato al patto che lo lega con Renzi. Ma l’interesse è reciproco.

Eletto il pre­si­dente, ci pensa diret­ta­mente il pre­mier a fischiare la fine della ricrea­zione. Non basta che i suoi più intimi — Del­rio e Gue­rini — si dif­fon­dano in inter­vi­ste per spie­gare che non esi­ste alcun "metodo Qui­ri­nale", e che su Ita­li­cum e riforma costi­tu­zio­nale l’intesa pri­vi­le­giata resta quella con Ber­lu­sconi. Un’intesa che serve a con­dan­nare all’irrilevanza la sini­stra del Pd e a mag­gior ragione l’opposizione di Sel, due schie­ra­menti che invece su Mat­ta­rella si sono ritro­vati. Renzi inter­viene per­ché sente troppa esul­tanza alla sua sini­stra.

Non gli è pia­ciuto che Ber­sani e altri ber­sa­niani siano corsi ad affi­darsi al neo pre­si­dente imma­gi­nando che sarà adesso il Colle a cor­reg­gere e fre­nare i piani di Renzi. "Evi­tiamo di met­tere in mezzo que­sto e il pre­ce­dente capo dello stato", dice il pre­mier. "Non è che Napo­li­tano fosse meno rigo­roso di Mat­ta­rella", aggiunge, sve­lando facil­mente le con­trad­di­zioni dei ber­sa­niani (che di Napo­li­tano hanno solo e sem­pre tes­suto elogi).

"L’elezione del pre­si­dente mette il turbo alle riforme", dice in un’intervista radio­fo­nica Renzi, assi­cu­rando un’accelerazione da super­car per legge elet­to­rale e revi­sione costi­tu­zio­nale. E non solo, visto che per chia­rire il con­cetto a fine gior­nata reca­pita una strin­gata let­te­rina a tutti gli iscritti del Pd, quasi un bol­let­tino del trionfo. "Costi­tu­zione, legge elet­to­rale, fisco, giu­sti­zia, pub­blica ammi­ni­stra­zione, terzo set­tore, diritti civili, ius soli, lavoro, libro bianco della difesa, Rai, cul­tura fino ad arri­vare al grande tema della scuola e dell’educazione che sono per me il punto cen­trale del Pd. Andiamo avanti con ancora mag­giore deter­mi­na­zione".

Discorso fatto agli iscritti per­ché inten­dano i diri­genti, spe­cie quelli della mino­ranza del par­tito che hanno chie­sto una pausa nella corsa del dise­gno di legge di revi­sione costi­tu­zio­nale, che si era fer­mato prima della con­vo­ca­zione dei grandi elet­tori quando stava per entrare nel vivo del Titolo V della Costi­tu­zione e poi del fun­zio­na­mento del nuovo senato. Niente da fare, Renzi governa anche sul par­la­mento ed è lui a infor­mare che nella con­fe­renza dei capi­gruppo con­vo­cata a Mon­te­ci­to­rio subito dopo la fine della ceri­mo­nia con Mat­ta­rella, oggi alle 15.00, si deci­derà di pro­se­guire l’esame della riforma. E forse di asse­gnare già in prima com­mis­sione la legge elet­to­rale appena arri­vata dal senato.

"Non abbiamo voluto unire il Pd usando Mat­ta­rella", insi­ste a sera in tele­vi­sione Del­rio. L’unità del par­tito demo­cra­tico costrin­ge­rebbe infatti a rive­dere le cosid­dette riforme, così come por­tate avanti fin qui con Ber­lu­sconi. Alla legge elet­to­rale andreb­bero sfi­lati i cento capi­li­sta bloc­cati per i primi par­titi, quelli che nell’attuale Ita­li­cum con­fer­mano una pre­va­lenza di depu­tati non scelti dagli elet­tori. Non che a palazzo Chigi si mal­trat­tino solo quelli del Pd. "Chi deve lec­carsi le ferite lo fac­cia, non perdo tempo con i par­ti­tini", insi­ste Renzi aven­do­cela evi­den­te­mente con Alfano e il suo Ncd. Tanto che dal mini­stro Lupi arriva una asser­tiva pro­te­sta: "Non siamo il tap­pe­tino di Renzi".

Eppure l’accordo con Ber­lu­sconi non si ferma alle que­stioni isti­tu­zio­nali. Atte­sis­simo il con­si­glio dei mini­stri del pros­simo 20 feb­braio nel quale il governo deve deci­dere se con­fer­mare la norma che rende non puni­bile un’evasione delle impo­ste infe­riore al 3% dell’imponibile. Sconto penale che sem­bra fatto appo­sta per Ber­lu­sconi, e che Renzi — come prima di lui Boschi — ha lasciato inten­dere che resterà: "Stiamo valu­tando, veri­fi­cando, vedremo se cam­biarla e come, Ber­lu­sconi non c’entra niente ma biso­gna distin­guere gli eva­sori da chi fa errori in buona fede".

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