di Vincenzo Vita

Si è con­clusa ieri sera la serie tele­vi­siva "1992", andata in onda su Sky per dieci pun­tate. Il gruppo di Mur­doch è stato anche – insieme a La7 e Wild­side — il pro­dut­tore dell’opera, aggiun­gendo un altro indub­bio suc­cesso a quelli di "Gomorra" e di "Romanzo cri­mi­nale". Niente male (pur se al di sotto di "Gomorra") l’ascolto: oltre 800.000 ascolti medi, tra live e differito.

Forse "1992" ha qual­cosa di meno, ma nei pre­ce­denti veni­vano in soc­corso le nar­ra­zioni pur­troppo con­so­li­date delle effe­rate orga­niz­za­zioni mala­vi­tose; qui, c’è la cospi­cua vicenda di Tan­gen­to­poli, ancora – però — troppo fram­men­ta­ria nel rac­conto e scar­sa­mente storicizzata.

Anzi. Pro­prio la bella serie dà un con­tri­buto impor­tante a riper­cor­rere i tor­nanti di quell’annus hor­ri­bi­lis, scan­diti da arre­sti, sui­cidi, vicende poco com­men­de­voli nell’esplosione della que­stione morale: cor­rotti, con­cussi, ricatti, omis­sioni, com­pli­cità dif­fuse entrano in scena in quello che appare una sorta di "noir poli­tico", costruito dal lavoro di Ales­san­dro Fab­bri (regi­sta insieme a Giu­seppe Gagliardi), Ludo­vica Ram­poldi e Ste­fano Sardo, sulla base di un’idea di Ste­fano Accorsi, inter­prete della fic­tion insieme –tra gli altri– a Miriam Leone, Guido Caprino, Dome­nico Diele, Ales­san­dro Roja e a una effi­cace (per chi scrive, ma le pole­mi­che non sono man­cate) Tea Falco.

La scrit­tura – secondo lo stile a trama mul­ti­pla della seria­lità "adulta" (rispetto al vec­chio alfa­beto "soap" o "tele­no­vela") — accu­rata, l’ambientazione di pre­ci­sione, l’intreccio imma­gi­nato secondo la moda della "docu­fic­tion" con­fe­ri­scono a "1992" un valore signi­fi­ca­tivo, al di là di ogni giu­di­zio este­tico o di merito.

Si tratta di un altro esem­pio di valo­riz­za­zione della pro­du­zione in serie impre­zio­sita dalla qua­lità cine­ma­to­gra­fica. E’, dun­que, qual­cosa di più e di diverso dalla tra­di­zione dei glo­riosi tele­film o delle fic­tion di lunga tenuta, basate –que­ste ultime– su qual­che variante in uno schema osses­si­va­mente ripe­ti­tivo. Qui no. Il rac­conto è denso dav­vero, costruito e via via ritoc­cato come avviene nel ciclo idea­tivo del best sel­ler di qua­lità – messo in evi­denza dalle ricer­che di Gian­carlo Fer­retti ed Alberto Cadioli. Ed è "tele­vi­sione" in senso pieno, arric­chi­mento e non mera occu­pa­zione dei palinsesti.

Senza buona seria­lità non c’è offerta ade­guata, pre­co­nizzò Mas­simo Fichera in un illu­mi­nato semi­na­rio tenu­tosi nel lon­tano 1982 all’Università di Cosenza. Pur­troppo la Rai non sem­pre ha seguito tale spi­rito, pre­fe­rendo spesso for­mat di impor­ta­zione poco inno­va­tivi. «Il com­mis­sa­rio Mon­tal­bano», pur­troppo, è tra le ecce­zioni. Senza nulla togliere al resto, intendiamoci.

La legge n.122 del 1998 obbligò alla quan­tità, giu­sta­mente. Si sta par­lando, però, di moda­lità pro­dut­tive, di costru­zione di fonti e luo­ghi crea­tivi per la cul­tura di massa. Insomma, c’è voglia di tele­vi­sione intel­li­gente, scru­po­losa e di un "con­sumo di qualità".

Il pec­cato è antico. Sul finire degli anni Ottanta non fu "nor­ma­liz­zata" una serie come "Secret", pen­sata a Milano (come poi è stato a Napoli con "La squa­dra" e "Un posto al sole") secondo schemi moderni. Ecco per­ché è utile par­lare degli sforzi di Sky, inter­ro­gando il ser­vi­zio pub­blico (lo ha sot­to­li­neato Bar­bara Sca­ra­mucci su Arti­colo 21) sulle sue arre­tra­tezze. E dire che il futuro si gio­cherà pro­prio sui con­te­nuti e non per caso una cable-tv come Net­flix sta atter­rando sui nostri media.

"1992" ci indica ancora la strada da intra­pren­dere. Insomma, ha un ruolo progressivo. Dopo l’ultima pun­tata ci è venuto gusto. Seguirà il "1993"?

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