di Norma Rangeri

Forse un altro scio­pero, pro­ba­bil­mente il blocco degli scru­tini. Le toppe che fret­to­lo­sa­mente il governo ha messo al dise­gno di legge sulla scuola devono essere apparse peg­giori del buco se ieri i sin­da­cati sono usciti dalla riu­nione a palazzo Chigi con un «no, gra­zie», deter­mi­nati a raf­for­zare la battaglia. Del resto una delle bat­tute di gior­nata più vol­gari Renzi l’aveva pro­nun­ciata pro­prio qual­che ora prima dell’incontro all’indirizzo dei pro­fes­sori («la scuola non è l’ammortizzatore sociale degli inse­gnanti»), con­si­de­rati dei pove­racci che pen­sano solo al (magro) stipendio.

Men­tre si avvi­cina la data di ele­zioni regio­nali che saranno ricor­date come quelle delle liste impre­sen­ta­bili, Renzi non si trat­tiene e col­pi­sce dura­mente qua­lun­que forma di vita alla sua sini­stra. Obiet­tivi pre­fe­riti, il sin­da­cato e l’opposizione interna. E mena fen­denti nel ten­ta­tivo di fare il pieno dei voti in libera uscita dal cen­tro­de­stra spap­po­lato, mal­de­stra­mente masche­rato da una riven­di­ca­zione a sé del rifor­mi­smo vincente.

Non il patto del Naza­reno, non l’abolizione dell’articolo 18, non il jobs act, non la con­tro­ri­forma della scuola, non le riforme costi­tu­zio­nali sareb­bero le ragioni di una deriva cen­tri­sta del “par­tito della nazione” e di una per­dita di con­senso nei mondi tra­di­zio­nal­mente schie­rati a sini­stra. Ma è «la sini­stra maso­chi­sta in Ligu­ria che dà la pos­si­bi­lità a Forza Ita­lia di essere ria­ni­mata», sarebbe il depu­tato Luca Pasto­rino, can­di­dato alle regio­nali liguri la causa della temuta (e impro­ba­bile) resur­re­zione ber­lu­sco­niana. E non è una bat­tuta ma il cuore della sua lunga pas­seg­giata elet­to­rale davanti alle tele­ca­mere di Repub​blica​.it.

Il pre­si­dente del con­si­glio, per l’occasione vestito con la giacca del segre­ta­rio del Pd, ha irriso la mino­ranza del par­tito da cui evi­den­te­mente teme di rice­vere qual­che dispia­cere elet­to­rale. E così ha spa­rato can­no­nate por­tando a ter­mine la rot­ta­ma­zione della vec­chia classe dirigente.

Con i toni arro­ganti che ne con­trad­di­stin­guono il pro­filo poli­tico, ha preso a ber­sa­glio gli ultimi espo­nenti della vec­chia nomen­cla­tura col­pe­vole di lesa lea­der­ship ("Non è che se non ci sono Ber­sani e D’Alema non c’è più la sini­stra"). A parte il fatto che D’Alema e Ber­sani sono ancora nel Pd ed espel­lerli a mezzo stampa non è il mas­simo dell’eleganza nem­meno nel PdR, soste­nere che i poveri maso­chi­sti alla Fas­sina dovreb­bero «ricor­dare quando il Pd per­deva dav­vero col 25%», è una di quelle carte false buone per la pro­pa­ganda visto che il segretario-presidente è seduto a palazzo Chigi pro­prio gra­zie al tanto disprez­zato par­tito del 25 per cento che lo ha por­tato al governo.

Sarebbe più pru­dente pren­derne atto, anche per­ché con­ti­nuare a sban­die­rare il 40 per cento rag­giunto alle euro­pee, in vista delle regio­nali potrebbe rive­larsi un azzardo.

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