di Tonino Bucci - L'estate è il tempo della spending review. L'estate è il tempo delle emergenze. L'estate è anche la stagione in cui salta fuori il problema degli organici nella scuola. A tre anni dall'entrata in vigore della legge Gelmini (la 169/2008) la questione diventa drammatica. C'è il problema di come continuare a garantire il tempo pieno. Le attuali norme prevedono che il numero di classi a tempo pieno non possano aumentare rispetto agli anni precedenti. In linea di principio, la riforma non ha abolito il tempo pieno, ma di fatto ha stabilito un tetto agli organici che gli uffici scolastici provinciali (gli ex provveditorati) assegnano alle singole scuole.
Con questi tetti non si riesce a far fronte all'aumento del numero degli alunni e alle richieste della famiglie.
Per quanto riguarda l'organico del prossimo anno scolastico a fatica ci sono le risorse sufficienti a mantenere nella scuola primaria i livelli dello scorso anno (dati Cgil scuola http://www.flcgil.it/scuola/organico-di-fatto-2012-2013-il-miur-emana-la...). «Le istituzioni scolastiche della scuola primaria – si legge nell'articolo 4 della legge Gelmini - costituiscono classi affidate a un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola» (http://www.tecnicadellascuola.it/index.php?id_tip=34&;view=norm&id=24068). Nella «più ampia articolazione» dell'orario di cui «comunque» si dovrebbe tenere conto, rientra il tempo pieno. «Il tempo-scuola della primaria è svolto […] secondo il modello dell'insegnante unico che supera il precedente assetto del modulo e delle compresenze, e secondo le differenti articolazioni dell'orario scolastico settimanale a 24, 27, e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell'organico assegnato; è previsto, altresì, il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno» (Decreto del Presidente della Repubblica n.89 del 20 marzo 2009). Il tempo pieno, come gli altri moduli, è formalmente riconosciuto, ma solo «nei limiti» del numero di insegnanti assegnati ai singoli istituti. La condizione fondamentale è che i livelli di organico restano congelati a quelli dell'anno scolastico 2008-2009, quello precedente all'entrata in vigore della riforma Gelmini. Non solo: viene abolita la compresenza di due insegnanti all'interno di una stessa classe («secondo il modello dell'insegnante unico»). Su un orario settimanale di lezione di 22 ore di un insegnante assegnato a una classe a tempo pieno, due erano spese in un lavoro didattico comune con l'insegnante collega. Dopo la riforma e l'abolizione della compresenza, quelle due ore vengono spese a coprire le carenze di organico di ogni singola scuola, il più delle volte al di fuori della propria classe di assegnazione. Ma non è solo per questo aspetto che la “prestazione lavorativa” dell'insegnante si frammenta, spalmandosi a seconda delle esigenze dell'istituto scolastico. La “maestra prevalente” lavora per tutte le ventidue ore del proprio orario con gli alunni della propria classe, mentre le altre insegnanti distribuiscono il proprio orario su almeno due classi. Se l'obiettivo era di concentrare l'offerta didattica in un unico docente, gli effetti vanno nella direzione opposta. Gli alunni trascorrono sì ventidue ore delle quaranta settimanali con l'insegnante prevalente, ma nelle rimanenti diciotto vedono alternarsi altre due o tre insegnanti, se non quattro, a discapito della continuità didattica.
Ci sono poi da coprire gli scampoli di orario che eccedono le capacità degli organici di ruolo. Sono residui dovuti al nuovo sistema di calcolo adottato dagli uffici scolastici provinciali nello stabilire quanti insegnanti assegnare a ogni istituto. Il criterio di assegnazione non è più basato sul numero di classi, ma sul numero di ore di insegnamento, a condizione che non vengano superati i tetti degli anni precedenti. La conseguenza è che molti precari sono rimasti fuori, mentre altri si sono visti costretti ad accettare incarichi di poche ore settimanali e stipendi ridotti. È tutt'altro che raro nella scuola post-Gelmini incontrare docenti catapultati all'inizio dell'anno scolastico in una scuola sperduta di provincia, di cui non conoscono nulla, per tappare anche soltanto otto ore alla settimana. Nel migliore casi, fanno la spola tra diversi istituti, apparendo e scomparendo da un giorno all'altro. Il precario – come racconta Alex Corlazzoli, maestro e autore di La scuola che resiste, un libro che uscirà agli inizi di settembre per chiarelettere – sale ogni volta su un “treno in corsa”, accetta quel che c'è, fa il pendolare tra scuole diverse e deve essere pronto a insegnare di tutto, a seconda delle emergenze, dalla storia alla geografia, dalla matematica all'educazione motoria, dall'informatica all'educazione all'immagine. In Italia sono più di 116 mila. Arrivano soprattutto dal sud, dove gli esuberi superano la media nazionale. Inutili, ma necessari. Perché senza di loro la scuola del dopo-Gelmini non potrebbe andare avanti.

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