di Marco Bascetta

A voler essere one­sto, Pier­luigi Bat­ti­sta, che sul Cor­riere della sera di ieri met­teva in guar­dia dalla insi­diosa sedu­zione dell’«estetica della rivolta» avrebbe dovuto met­terla così: poi­ché noi, la stampa e gli altri media, siamo il cane di Pavlov, quando ci fanno vedere la pol­petta, sba­viamo. Non ci vuole chissà quale astu­zia media­tica dei movi­menti per cono­scere e atti­vare que­sto arci­noto mec­ca­ni­smo. Nes­suno scon­tro, nes­suna notizia.

La pol­petta ser­vita sabato scorso era di colore blu, che qual­che novità biso­gna pur intro­durla. Ma anche dall’insipienza dei com­men­ta­tori si può sem­pre trarre qual­che inse­gna­mento. L’editorialista del Cor­riere con­trap­po­neva i con­te­nuti della mobi­li­ta­zione, «cascami ipe­ri­deo­lo­gici che riaf­fio­rano da epo­che geo­lo­gi­che sepolte» all’efficace talento spet­ta­co­lare dei mani­fe­stanti in blu. Quello sì, attraente e peri­co­loso. Cosa ci sia poi di anti­di­lu­viano nella rab­bia di più di una gene­ra­zione di pre­cari esclusi da qual­si­vo­glia ammor­tiz­za­tore sociale, per non par­lare degli 80 euro che Renzi intende met­tere nelle tasche dei lavo­ra­tori sala­riati, (ben­ve­nuti, cer­ta­mente, per chi li rice­verà), atten­diamo ancora di far­celo spiegare.

Anti­di­lu­viana ed ipe­ri­deo­lo­gica è sem­mai l’idea che le buste paga ritoc­cate rilan­ce­ranno i con­sumi, quindi la pro­du­zione e, infine, l’occupazione. Quando invece andranno, in larga misura, a pagare i debiti e il rima­nente non accre­scerà di una unità gli occu­pati, come gli impren­di­tori si sono pre­mu­rati di far sapere per tempo. Non siamo insomma tanto lon­tani dalla prova elet­to­rale e dal pacco di pasta del coman­dante Lauro. Cosa dav­vero modernissima.

Che que­sta rab­bia, igno­rata e sbef­feg­giata, decida di espri­mersi anche ruvi­da­mente, che alla spro­po­si­tata vio­lenza eco­no­mica eser­ci­tata in nome della ren­dita si con­trap­pon­gano forme più o meno intense di ribel­lione non dovrebbe sor­pren­dere. Ma qui con­verrà fare i conti con le insuf­fi­cienze e i limiti della pro­te­sta sociale.

Nel riper­cor­rere le vicende degli scon­tri di piazza (soprat­tutto romani) degli ultimi anni è dif­fi­cile sot­trarsi a una insi­stente sen­sa­zione di ritua­lità. Come di fronte a un cano­vac­cio che si ripete, benin­teso con le diverse varianti che ogni cano­vac­cio degno di que­sto nome con­sente e pre­vede. L’idea dell’«assedio» (ter­mine alquanto impro­prio per desi­gnare azioni per­lo­più ful­mi­nee) dei palazzi del potere, dei luo­ghi della deci­sione, rischia di farci dimen­ti­care quanto gli «asse­dianti» siano in realtà asse­diati e quanto rom­pere l’accerchiamento dovrebbe essere la prin­ci­pale pre­oc­cu­pa­zione. Così come il ter­mine «sol­le­va­zione», nella vastità che lo con­trad­di­stin­gue, poco si atta­glia a una breve e cir­co­scritta incur­sione. Si può per­fino capire, tut­ta­via, che la ricor­rente messa in scena del tumulto, comun­que lo si voglia chia­mare, serva a riba­dire e sot­to­li­neare che di fronte all’arroganza del potere e alla durezza dei colpi subiti l’eventualità di una rivolta vio­lenta resta sem­pre pre­sente, per quanto alea­to­rie ne siano le pos­si­bi­lità di successo.

Insomma, lo dico senza intenti pole­mici, si va a messa nell’attesa della resur­re­zione, si fa la comu­nione con il corpo della mol­ti­tu­dine in vista della sal­vezza finale. E, dir messa, lo sap­piamo, è una ben nota forma della politica. Ma quando il sim­bo­lico si ripro­duce sem­pre uguale a se stesso, simu­lando una mate­ria­lità effet­tiva che non rie­sce in realtà ad attin­gere, il cir­colo vizioso è garan­tito, la coa­zione a ripe­tere insu­pe­ra­bile. È un pro­blema di effi­ca­cia che non si rie­sce a risol­vere. E il prezzo comun­que non è irrilevante.

La rea­zione repres­siva è sem­pre più smi­su­rata rispetto alla mode­sta entità degli eventi di piazza. Lo è stata anche sabato scorso a Roma, dove il cor­teo, e anche tutti i sin­goli che vi par­te­ci­pa­vano, sono stati costretti (asse­diati) per la prima volta den­tro una fer­rea gab­bia senza vie di uscita. Che l’incursione in via Veneto non ha in nes­sun modo scal­fito. C’è dun­que da inter­ro­garsi seria­mente su come que­ste moda­lità di con­flitto, aldilà dai colori che indos­sano, pos­sano essere supe­rate, come il qua­dro di una «lega­lità» che pre­vede il sacri­fi­cio di molti e il pri­vi­le­gio di pochi possa essere for­zato con qual­che spe­ranza di tenuta e di durata.

Altri­menti reste­remo pri­gio­nieri di una reto­rica lie­ve­mente schiz­zata di sangue.

Condividi