di Italo Vinti

Vorrei cominciare da un particolare di cui si è sempre poco parlato e cioè i collegamenti del CLN. Ricordo che nel 1943 fummo comandati dal CLN di Perugia a prendere contatti con il gruppo Melis che già operava nella zona di Spoleto. Fu un grosso fatto perché eravamo e senza la minima esperienza, tuttavia riuscimmo a collegarci e a ritornarci una seconda volta, con gli addetti militari che il CLN ci mise a disposizione - tra i quali Mario Bonfigli qui presente - superando i rischi che il tragitto Perugia-Spoleto poteva comportare, alla ricerca di uno pseudo comando o di fantomatici partigiani. Stabilito il collegamento inizia ad operare concretamente in seno alla Brigata San Faustino, in posizione di combattente.

Nevicava, ricordo, quando la nostra Brigata raggiunse Morena dove, per la prima volta, conoscemmo i vari aspetti della guerra. Successivamente, dopo la svolta di Salerno, seguendo le direttive del Partito Comunista, passammo alla V Brigata Garibaldi con il Battaglione Panichi.

Ci insediammo alle falde del Monte Nerone al confine tra la provincia di Perugia e quella di Pesaro e, con l'aiuto della gente del luogo, imparammo a conoscere le strade, le mulattiere, la montagna, che ben presto ci divenne amica. I contadini di quelle zone furono per noi le famiglie che avevamo lasciato dandoci quel calore e quel conforto che conservo ancora, vivissimi nella memoria.

Le azioni si susseguirono con un certo ritmo e con molta attenzione per non esporre le famiglie che aiutavano a troppi rischi. Avevamo disposizioni precise di pulire i luoghi che abbandonavamo e cancellare ogni traccia del nostro passaggio e debbo dire che non furono precauzioni inutili: durante il rastrellamento che ebbe luogo nella zona le famiglie della zona non subirono rappresaglie.  

Quando fu effettuato il rastrellamento abbandonammo la zona e dopo tre giorni trascorsi nella macchia più fitta raggiungemmo le Alpi della Luna. Avvenne un formidabile scontro con un battaglione di tedeschi dove perdemmo il  nostro più caro compagno, figlio del nostro comandante: il giovane Panichi. In quella battaglia determinante fu per noi l'aiuto dei montenegrini che, armati di fucili mitragliatori, fecero quadrato intorno a noi dandoci la possibilità di ritirarci.

A questi ragazzi che combattevano così lontani da casa, va il nostro riconoscimento per la loro lealtà e il loro grande coraggio.

Ritornammo quindi nella zona di Pietralunga e qui in effetti ci mancò il collegamento con il CLN; ogni gruppo era insufficiente a qualsiasi azione, ma i gruppi erano numerosi e se avessimo potuto ben collegarci avremmo potuto costituire un forte nucleo. Comunque ritengo che queste deficienze organizzative siano dipese in massima parte dal tempo assai breve di permanenza nella zona, talvolta poche settimane, appena sufficienti a dare un minimo di addestramento agli uomini.

Quanto alla battaglia di Pietralunga vorrei ricordare alcuni dei nostri caduti e particolarmente "Amedeo" e "Gildo", due compagni che avevano scelto la guerra di liberazione con la consapevolezza che a molti mancava e con tutta la forza dei loro sentimenti.

"Amedeo" era figlio di un vecchio antifascista di Ponte San Giovanni che nel 1923 fu costretto ad emigrare in Francia per sottrarsi alle persecuzioni politiche. Il giovane "Amedeo" era quindi ritornato in Italia con la precisa volontà di combattere il fascismo. Viveva presso i nonni, aveva conseguito la maturità classica ed era iscritto alla facoltà di Medicina presso l'ateneo perugini. Fu fucilato da una raffica di mitragliatrice alle tre del pomeriggio dell'8 luglio vicino a S. Benedetto. Non morì subito. Fu raccolto e adagiato sulla concimaia, al sole e nessuno si potè avvicinare. Una donna tentò di portargli un sorso d'acqua, ma un tedesco la raggiunse, le strappò dalle mani la brocca e la fece allontanare. Amedeo morì alle nove di sera.

Non fu nemmeno possibile portare a Perugia la sua salma, ma io chiedo che il suo corpo venga ricordato per sempre, intitolandogli una via, perché il suo sacrificio non venga dimenticato.

Ricordo anche Gildo, ucciso sulla riva del fossato dove era andato ad attingere acqua e Panichi, legato ad un albero e ucciso all'Alpe della Luna. Credo che una pagina di storia debba essere dedicata a questi morti e a tutti coloro che pagarono con la vita la scelta di combattere per la libertà.

La battaglia di Pietralunga rappresentava per molti di noi anche un debito d'onore verso la popolazione che ci aveva tanto aiutato. Fummo accanto alle truppe inglesi, in un turbine di pallottole, sotto il crepitare delle mitragliatrici. Poi ci dovemmo ritirare. Salimmo su un camion inglese e fummo condotti in un campo di concentramento ad Assisi dove dovemmo fornire spiegazioni sulla nostra posizione.

*Scritto da Italo Vinti nel 1975  in occasione del 30° anniversario della Liberazione  

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