Mi chiedo spesso quanto possa essere infame questo mondo, quanto possano essere meschini gli uomini, quanto possa essere grande la cattiveria, l'ipocrisia, l'arrivismo. E poi, a un tratto, improvvisamente, ti raccontano una storia, una banalissima storia di vita, che sembra una favola, per come accade, per come si compone, per come finisce. Storie che sembrano una favola oppure favole che diventano storie per essere credute e vissute, come esempio. Allora ti fermi e respiri, ti senti il groppo in gola e sai che quella storia devi raccontarla, anche se già molti la sanno, anche se tanti uomini e donne che vivono quassù in montagna, nella terra di mezzo, se la custodiscono in silenzio, come se fosse normalità, come se fosse vita quotidiana.

C'è una piccola frazione a Norcia, San Pellegrino, un pugno di case distrutte, squarciate, denudate, scoperchiate dal terremoto. Macerie, un ammasso di macerie senza un inizio, senza una fine. Sono in tanti ad aver perso la casa, alcuni vivono negli alberghi da mesi, alcuni nelle roulotte di fortuna, tanti nelle tende. Domenica verranno consegnate a San Pellegrino i moduli abitativi per coloro che hanno la casa completamente inagibile. Non lo faranno con la lotteria ma in base ad una graduatoria, con le esigenze più urgenti. Tra i tanti senza casa di San Pellegrino che anche Cecilia, uno scricciolo di donna di 84 anni, la più anziana del paese che ancora va a raccogliere lo zafferano, che rappresenta un po’ la storia e il vissuto del paese.

Cecilia chiede la casetta e gli promettono che l'avrà. La sua casa, però, per cavilli burocratici, non rientra nelle case completamente inagibili, ma non vi rientra per una errata valutazione della perizia. Tutti lo sanno e tutti sanno che la casa le spetta ci diritto, che lei non può viverci in quella casa massacrata dal terremoto. Ma la casa alla fine, nonostante le parole e i buoni propositi, per lei non c'è. Madonna burocrazia fa i conti matematici, guarda le tabelle, i riscontri tecnici e la sua casa, facendo il conto algebrico, non è abitabile, ma più abitabile di quelle che non ci sono più. Cecilia non ci può entrare, nemmeno per raccogliere qualcosa, ma per il computo burocratico a lei non le spetta la casetta di lamiera.

Strana la vita. Cecilia aspettava la casa, guardava costruire i moduli che saranno diventati, chissà per quanto tempo, la casa degli abitanti di San Pellegrino, si chiedeva quale sarebbe stata la sua e poi l'amara sorpresa. Non c'è la casa per te, Cecilia, non ti aspetta ora, forse dopo, ma non ora. Ma in questa di terra di mezzo, di uomini di montagna che sanno benissimo cosa sia soffrire in silenzio, tacere e non lamentarsi, le favole esistono e hanno il loro lieto fine. La storia di Cecilia "senzacasa", fa il giro del paese, ne parlano tutti e intervengono tutti, ognuno propone, ognuno dice qualcosa, ma la casetta non viene fuori lo stesso.

E poi arriva un principe, senza corona e senza scorta, senza nemmeno il mantello rosso. E' un terremotato come lei, anche lui di San Pellegrino. Lui è uno dei fortunati che domenica avrà la casetta assegnata per graduatoria, bella come tutti la sognano quassù, fatta di lamiera e poliuretano, con la veranda in legno dipinto e le finestre con il doppio vetro, ma bella come il sole. Il principe vive da mesi in un albergo, è uno dei tanti nuclei familiari, partiti una domenica di novembre alla volta di una città sicura, in un albergo sicuro, lontano dalle scosse di terremoto che bombardano ogni giorno questa terra dimenticata. Un rapido consulto con i suoi familiari e poi il principe parla: la casa noi ora non la vogliamo, datela a Cecilia che ne ha più bisogno, noi possiamo vivere ancora un po’ di tempo nell'albergo dove siamo ospitati.

Non so se Cecilia abbia pianto, non so le parole che lei possa aver detto al principe buono, non so se si sono parlati, se fossero conoscenti o parenti, se il principe conoscesse così bene la donna, se e quante volte Cecilia possa avergli fatto un piacere. Quassù, in questa terra di montanari, le storie sono così, fatte per diventare una sorta di leggenda e trasformarsi in una storia da raccontare di bocca in bocca, di padre in figlio. Lei Cecilia "senzacasa" e lui, il principe "senzanome".

Ringrazio chi mi ha raccontato e fatto conoscere la storia, lo ringrazio per le quattro lacrime barbine e infantili che mi ha fatto fare scrivendo, ringrazio quel principe di cui ignoro il nome, ma del quale amo il cuore. Domenica sarò a San pellegrino e spero di poterli incontrare entrambi, perchè domani possa dire da vecchio... io quella favola l'ho potuta raccontare.

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