Giornalista e animatore culturale, fratello di Stefano (ex segretario regionale di Rifondazione Comunista e assessore regionale), era redattore di un foglio di temi politici ed era una figura notissima a Perugia, soprattutto in corso Vannucci, dove scambiava spesso opinioni politiche con i protagonisti della vita culturale della città e dell’Umbria. Tra i tanti episodi che lo riguardano, il pranzo con lo scrittore argentino Osvaldo Soriano, incuriosito da una battuta che Paolo gli rivolse per strada. Erano un must i suoi roboanti discorsi, che davano più carica di un caffé doppio.

Paolo era una presenza ineludibile in Corso Vannucci, a Perugia. Occhialuto, di mezza età, con possente voce baritonale, con la sua immancabile allegria e la fiducia senza sosta per la vittira del popolo. Paul Beathens e i suoi scritti che sebrano futuristici anche oggi per la lungimiranza con cui il compagno Paolo li scriveva. Mi fermava spesso per strada e mi salutava con quel timbro inconfondibile: "Buongiorno al compagno Tasso, l'ultimo vero comunista rimasto".
"Paolo al massimo posso essere democristiano..."
"Tu sei un comunista, l'ultimo, perchè sei capace di andare contro il regime, qualunque esso sia, e di fare battaglie per il ene e il trinfo del popolo!".
I suoi ragionamenti erano chiari e incontrovertibili, era l'ultimo comunist rimasto.

Immancabili le sue declamazioni. Nel linguaggio di Paolo, la “declamazione” era una sorta di comizio poetico fatto di anafore, ripetizioni cicliche, digressioni solo apparenti, in versi liberi che frullavano tutti i linguaggi della storia della sinistra e dei movimenti. Gli elementi subito riconoscibili erano: una riproposizione sul filo della parodia della “lingua di legno” terzinternazionalista; certe formule “gruppettare” anni ’70; pezzi di terminologia di Louis Althusser (che Paolo doveva conoscere bene); infine, frammenti di utopie hippie screziate di fantascienza.

La cosa peculiare è che, ovunque le improvvisasse, le sue declamazioni non erano mai fuori tema. C’era nel declamare, nel versificare di Paolo Vinti, una puntualità, un’esattezza, una precisione non tanto dei concetti quanto delle immagini: Paolo trovava sempre l’immagine più sorprendente, quella che ti riconciliava con tutta la tua (e la sua, e la nostra) storia, offrendone una visione olistica: il bello e il brutto, gli sbagli e le conquiste, le meraviglie e l’orrore, la libertà e il Terrore e di nuovo la libertà. Una delle sue strategie retoriche preferite consisteva nell’affastellare nomi di paesi, di partiti, di gruppi guerriglieri, di rivoluzionari e filosofi, componendo l’affresco di un “super-fronte popolare” che comprendeva tutti, ma proprio tutti: stalinisti e trotzkisti, anarchici e socialdemocratici, maoisti e preti operai… Da Romano Prodi a Pol Pot. L’effetto era irresistibile. Seriamente esilarante.

Immancabile la sua camicia sbottonata e le due cravatte portate a tracolla, in segno di ribellione al perbenismo borghese. Il Compagno Paolo Vinti si è spento la mattina del 28 novembre 2010, dopo essere stato colpito da un ictus pochi giorni prima ed essere entrato in coma irreversibile.
Addio Paolo, con emozione, con emozione altissima.

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