di Renzo Massarelli

TERNI - L'avevano progettata come la strada che avrebbe finalmente avvicinato le due province nate negli anni del primo fascismo, il '27, e riunito così la vecchia provincia dell'Umbria, com'era una volta, più grande della regione e sotto il dominio ferreo della zampa del grifo perugino. Una specie di rimpatriata. Per ora ce n'è un pezzo, da Terni sino in Valnerina, in attesa di correre sul ponte in acciaio che vola più alto di Papigno e tocca, alla fine della sua fantastica corsa, la valle del Velino e la piana di Rieti. La nuova strada e non superstrada perché è fatta pur sempre di due corsie, somiglia con i suoi difetti e i suoi pregi a quelle svizzere, strette e alte sulle montagne, tutte ponti e gallerie. Tra un po', anche se si chiamerà pur sempre la Terni-Rieti, conterà di meno nella gerarchia delle opere pubbliche. Non la strada delle due province gemelle, ma di due territori che si ritrovano privi di stellette istituzionali. Due città e non più due province vittime della logica fredda dei numeri e di una selezione fatta un po' alla cieca come avviene spesso quando si stabiliscono dei confini. C'è sempre qualcosa di arbitrario in questa pretesa di voler ingabbiare dentro furbesche logiche di contabilità la storia degli uomini e dei territori. Che brutta bestia la geografia inventata dal potere politico e ancor peggio quella che è figlia delle ideologie del nostro tempo dove tutto si semplifica e si banalizza senza porsi l'obiettivo di costruire davvero una società più giusta.

Dunque, Terni non può essere una provincia, non più. Poca popolazione e un territorio non così esteso. Sono parametri seri questi? Conta la quantità e basta?

La città è così fatta proprio perché nel corso di un tumultuoso sviluppo industriale ed edilizio è diventata una provincia. La sua attuale struttura urbanistica, che è in gran parte figlia del Novecento, si è definita proprio grazie a questa funzione. Quando fu fatta provincia esercitava, al centro di un vasto territorio, certo più vasto dei suoi attuali confini, da almeno tre decenni una fortissima attrazione. Rappresentava la nuova frontiera, la modernità, l'industria e il lavoro. Era la capitale morale dell'Umbria, la Milano del centro o, come si diceva allora, la Manchester italiana. Ancora oggi la sua identità è legata a due valori forti. Prima di tutto all'industria, e poi al suo ruolo politico e amministrativo, al suo essere una Provincia. Proviamo a immaginare ora cosa diventerà Piazza Tacito con palazzo Bazzani, il palazzo del Governo e della Provincia, spogliato da ogni sua funzione, con la Banca d'Italia già chiusa e con la vicina Camera di commercio, la sede dell'Inps e tutti gli altri uffici a direzione provinciale cancellati. Il colpo per Terni sarebbe mortale. Non si tratta di difendere semplicemente qualche centinaio di posti di lavoro ma l'identità di una città che è così legata al valore simbolico della Provincia, molto più di altre città con un peso sedimentato nelle lunghe vicende della storia. Senza il valore di una città come Terni, è la ragione sociale di tutta l'Umbria che si frantuma e rischia di perdersi. Anche Perugia sarà un'altra cosa perché le si richiederà di rappresentare valori, storie, culture che non può rappresentare da sola. Perugia è il capoluogo dell'Umbria ma non è l'Umbria, al di là della sua storia, dei confini geografici e delle competenze amministrative. Certo, sarà interessante vedere cosa faranno i ternani quando saranno chiamati a votare per il consiglio provinciale di Perugia.

Adesso si cerca di capire come si può salvare Terni e la sua provincia. Le proposte non mancano, alcune sono davvero singolari. Andare con Roma, piuttosto che con Perugia. Sciocchezze in libertà. Non c'è da alimentare nessuna guerra di campanile anche perché Perugia questa guerra non l'ha certo dichiarata. Si tratta piuttosto di difendere il ruolo di una città come Terni e i suoi diritti di capitale di un territorio importante, ancorché inferiore ai limiti stabiliti a tavolino da un governo che predica il federalismo e pratica il centralismo.

Con le riforme di questi giorni, il potere politico, la casta, quella che pure conosciamo da tempo, si assolve dai suoi peccati, che sono pesanti, per scaricare responsabilità sulle strutture amministrative. E' colpa delle Province e dei piccoli comuni se siamo messi così male in Italia? ma via. Le istituzioni si possono anche cambiare, ci mancherebbe, ma se molte, forse troppe, funzionano male forse ci si dovrà chiedere perché. Si possono avere meno province e meno comuni, si può, certo, ma se non si ricrea una rete di democrazia, di partecipazione e di trasparenza e una classe dirigente che ne sia degna, non avremo migliorato un bel niente.
La città di Terni è molto legata alla festa del lavoro, non solo Terni, si capisce. Perché hanno umiliato il 1° Maggio e le altre festività che rappresentano i valori più alti della Repubblica, della Costituzione e dell'unità nazionale? Tutto si spiega davanti al declino della politica e alla vittoria di nuove, inquietanti ideologie. E' la morte dei simboli democratici, l'affermarsi lento di quelli di un regime. Peccato che troppi non lo capiscano, anche dalle parti dell'opposizione. 

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