Assemblea nazionale, Roma 10 settembre 2020
Referendum: NO al taglio della Democrazia

Introduzione di Giacinto Botti, referente nazionale Lavoro Società - Per una Cgil unita e plurale
Care compagne, cari compagni, buongiorno
Il 20 e 21 settembre gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi sul referendum
confermativo della legge che propone di modificare gli articoli 56,57 e 59 della
Costituzione con l’unico obiettivo di ridurre i costi della democrazia con un taglio lineare
del numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera, da 315 a 200 al Senato.
Oggi realizziamo questa iniziativa ancora dentro una grave crisi sanitaria che non
permette, per sicurezza e attenzione ai protocolli, una partecipazione numerosa in
presenza. Ringrazio i presenti in sala e gli oratori: la compagna Rossana Dettori, della
segreteria nazionale CGIL, Alfiero Grandi, Simona Maggiorelli, Gianfranco Pagliarulo,
Jacopo Ricci e Marina Calamo Specchia. Ringrazio tutte e tutti coloro che sono collegati/e
in modalità di videoconferenza e sui social. Ringrazio la giornalista Frida Nacinovich per la
disponibilità a presiedere questo incontro.
.
Molto sul merito di questo referendum è stato detto e scritto, e molto diranno gli interventi
previsti. Mi permetto con questa introduzione di proporvi una riflessione più generale sulla
situazione politica e sociale. Questo non limiterà tuttavia lo svolgersi di un confronto che si
arricchirà del qualificato contributo di ospiti autorevoli a sostegno del No al taglio della
democrazia. nella quale si chiede ai cittadini di esprimersi su una riforma di tale portata.
Pubblicizzare demagogicamente come una grande riforma il taglio dei parlamentari, o
meglio delle “poltrone” secondo la vulgata populista, è un modo per mascherare la verità,
e cioè che siamo di fronte all’ennesimo attacco alla democrazia parlamentare e al ruolo
delle assemblee elettive rappresentative. Quella alla quale siamo chiamati col voto è
parte di una battaglia culturale, valoriale e politica, di civiltà e di idea di paese che
va ben oltre il quesito referendario.
L’abbinamento con le elezioni amministrative regionali è stata una scelta sbagliata, che
sovrappone e mette sullo stesso piano l’aspetto politico e quello costituzionale. L’attacco
alla Costituzione l’abbiamo già vissuto con i precedenti referendum.
Il 25 e 26 giugno 2006 il popolo italiano bocciò con un 63% di No la “controriforma” ispirata
al programma piduista di Lucio Gelli voluta dal presidente Berlusconi, lo stesso che definì
la Costituzione “bolscevica”. La Cgil si schierò con determinazione e fece una campagna
per il No perché, come affermò l’allora segretario generale Guglielmo Epifani al congresso
nazionale, “Non potevamo restare indifferenti dinanzi a una revisione costituzionale tesa a
svuotare di senso i principi contenuti nella Costituzione”.
Il 4 dicembre 2016 un altro referendum bocciò con il 59% di No la riforma costituzionale,
questa sì organica ma sbagliata e altrettanto pericolosa, voluta e personalizzata dal
Presidente del Consiglio e Segretario del Pd Matteo Renzi. La CGIL, anche in
quell’occasione, con il segretario generale Susanna Camusso prese posizione e si schierò
sul No nell’Assemblea nazionale delle delegate e dei delegati del 7 e 8 settembre 2016,
con un ordine del giorno approvato con sole tre astensioni su 360 partecipanti. Il 4 ottobre
2016, alla Camera del Lavoro di Milano, organizzammo come Lavoro Società la prima
grande assemblea sindacale pubblica con la partecipazione di dirigenti Cgil e di
costituzionalisti, per un No di buone ragioni alla riforma costituzionale.

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Oggi stiamo realizzando la prima assemblea della sinistra sindacale Cgil a sostegno del
No senza purtroppo un pronunciamento chiaro di voto della nostra Organizzazione, che
pure ha espresso un netto giudizio critico. Si sono già dichiarati per il No, oltre a molti
costituzionalisti, movimenti come le Sardine, associazioni come l’Anpi, l’Arci e Libera,
insieme alle quali in questi anni come Cgil abbiamo affrontato e contrastato efficacemente
tutti i tentativi precedenti di revisione negativa della Costituzione. Rispettiamo e
comprendiamo in questo contesto le ragioni e le opportunità della non scelta di voto della
nostra Organizzazione, ma pensiamo che sia sbagliato; la Cgil, com’è nella sua storia e
nei suoi valori, con autonomia e come soggetto politico generale di rappresentanza
sociale non subalterno a nessuna forza politica e a nessun governo, avrebbe dovuto
esprimere una coerente indicazione di voto, ferma restando, ovviamente, la libertà di
scelta e di libera espressione di ogni iscritta e iscritto, essendo noi una grande
Organizzazione democratica e plurale.
Ci vogliono determinazione e coerenza per fare una campagna di verità e di
chiarificazione sulla reale posta in gioco. Non si può scegliere di essere subalterni a
un’opinione sbagliata solo perché diffusa tra le masse popolari ma, come stiamo facendo
oggi insieme ad altre associazioni democratiche e antifasciste, occorre assumere
l’impegno politico di chiarire, convincere, orientare e organizzare il voto dei cittadini in
difesa della nostra Costituzione. Un tempo si parlava di egemonia culturale.
“Lavoro Società - Per una CGIL unita e plurale”, aggregazione programmatica della
sinistra confederale Cgil di maggioranza ha scelto di stare in campo, di formalizzare e di
rendere pubblica la motivata e autonoma posizione di votare No, con lealtà e nel rispetto
delle regole dell’organizzazione. Un No a una falsa riforma, riduttiva e pericolosa, dalle
conseguenze imprevedibili e non governabili sulla nostra democrazia parlamentare
rappresentativa e partecipativa, nata dalla Costituzione repubblicana. Siamo una
Repubblica parlamentare, e la Costituzione indica e disciplina l’idea di democrazia
rappresentativa del popolo che rimane sovrano attraverso i partiti, il voto democratico, e le
Camere. Non ci piace la democrazia nella quale pochi finiscono per contare e decidere
per tutte e tutti. Diamo indicazione di votare No, convinti che ci sono battaglie
politiche che vanno sempre fatte a prescindere dalle possibilità di vittoria, perché le
battaglie che si perdono per sempre sono quelle che non si fanno. Sentiamo il
dovere individuale e collettivo di non piegarci al conformismo, di non essere subalterni al
quadro politico, di non soccombere al senso comune qualunquistico, di non cedere sui
nostri valori e ideali. Di non rassegnarci alla deriva valoriale e culturale, convinti che il
pericolo della destra anticostituzionale, il populismo demagogico, l’antiparlamentarismo e
l’antipolitica si combattono e non li si asseconda. Una riforma costituzionale sarebbe
necessaria per il rinnovamento e il rafforzamento della nostra democrazia, nell’ambito però
dei valori e dei principi costituzionali. Questa è una non-riforma pericolosa, rinforza la
cosiddetta “casta”, mortifica il Parlamento squilibra i poteri e la rappresentanza - tra Nord e
Sud, tra aree territoriali e regionali, tra piccole e grandi forze politiche. Non è una banale
questione di numeri ma di rappresentanza democratica e di difesa della centralità del
Parlamento, già mortificata e compromessa dalla prassi consolidatasi con gli ultimi governi
di legiferare prevalentemente con decretazione d’urgenza e voti di fiducia. Una “riforma”
che, se approvata, potrebbe in un altro contesto politico aprire la strada a soluzioni
inaccettabili, volte a superare l’ordinamento della Repubblica, con l’introduzione
dell’elezione diretta del Capo dello Stato: quel presidenzialismo che la destra italiana
persegue da sempre. Il taglio proposto avrebbe numerose conseguenze, non superabili di
certo con qualsivoglia legge elettorale.

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Per dirla con più nettezza prendendo in prestito le parole dello storico Luciano Canfora; il
taglio dei parlamentari è la più stupida, volgare, demagogica e autolesionista delle riforme.
Non esiste, per noi, una valida ragione politica che possa giustificare o rendere
meno grave la scelta di modificare in peggio l’assetto democratico e costituzionale
del paese. Si vota con un Si o con un No. Conta chi vota. Si vota per la Costituzione,
non per un partito o per il suo segretario. Sono in gioco le istituzioni, non il destino
provvisorio dei governanti. E neppure il destino della legislatura o di un’alleanza politica.
Alla consapevolezza di cosa c’è veramente in gioco si antepone invece un patto politico di
governo e un’indefinita e ipotetica futura riforma elettorale e costituzionale. Le leggi
elettorali si cambiano a convenienza politica, mentre le modifiche costituzionali rimangono,
e le loro conseguenze segnano la storia futura del paese. Ma è il contesto economico e il
clima sociale e politico in cui si svolge il referendum a preoccuparci. Siamo in presenza di
una profonda crisi sanitaria, sociale ed economica, strutturale e globale. In questa tragedia
ci sono responsabilità che non devono e non possono essere rimosse. Un evento terribile
che ha abbattuto dogmi, frantumato certezze e reso antistoriche le ideologie liberiste che
si fondavano sulla centralità del mercato e del profitto, sullo sfruttamento del pianeta e
delle persone, sulle diseguaglianze e sulle ingiustizie sociali. Il post Covid non lascerà
nulla come prima; oggi c’è bisogno di più politica, più responsabilità, più
democrazia, più coraggio nel cambiamento e maggiore partecipazione del popolo,
del mondo del lavoro nella costruzione di un paese diverso e migliore.
Ogni riforma istituzionale nell’emergenza dovrebbe avere l’obiettivo di ricostruire
prestigio, autorevolezza, peso e ruolo delle istituzioni dello Stato. Invece voteremo un
referendum sul taglio dei parlamentari proprio quando servirebbe l’opposto, un di più di
buona politica, di rappresentanza, di Stato, di istituzioni vicine ai cittadini e alle loro
sofferenze e bisogni. Di parlamentari non cooptati, rappresentativi, adeguati e degni a
svolgere con onore il loro compito. I sostenitori del Si, in particolare i dirigenti 5 stelle,
giocano con spregiudicatezza demagogica con il sentire popolare, utilizzando falsità
storiche o avvalendosi di estrapolazioni da contesti più generali, come nel caso delle
dichiarazioni dell’ex Presidente della Camera Nilde Iotti, per tirare acqua al proprio mulino.
Allora è utile ripassare un po’ di storia costituzionale.
Il numero attuale dei parlamentari non è affatto il più alto in Europa. Il dibattito sul numero
dei parlamentari inizia nella seconda sottocommissione della Commissione per il progetto
di Costituzione, presieduta da Umberto Terracini, mentre sarà l’Assemblea Costituente a
decidere che il numero dei parlamentari varia con il variare del numero degli abitanti, e che
si elegge un deputato ogni 80.000 abitanti o frazioni superiori a 40.000 e un senatore ogni
200.000 o frazioni superiori a 100.000. Sarà la legge costituzionale del 9 febbraio 1963, n.
2 a trasformare quel numero variabile nel numero fisso attuale di 630 deputati e 315
senatori. Sosteneva il 18 settembre 1946 il Presidente Umberto Terracini “...il numero dei
componenti di una assemblea elettiva deve essere in certo senso proporzionato
all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di
vista internazionale......visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un
organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre
che le funzioni”. Se al referendum vincesse il Si avremmo un primato negativo: l’Italia
sarebbe l’ultima tra i 28 paesi europei per il rapporto tra numero dei cittadini e
numero dei deputati; un deputato ogni 151.210 abitanti circa.
La Costituzione è parte viva della società e, come affermava Giuseppe Dossetti, “La
Costituzione contiene diritti supremi permanentemente validi, un orientamento per una
lotta che non è finita adesso e che non può finire, una lotta per la libertà e per la giustizia
sociale”.

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Difendere e rafforzare la democrazia rappresentativa e partecipata è oggi oltremodo
fondamentale per cercare di affrontare e risolvere la difficile, terribile questione sociale che
attraversa l’Italia da Nord a Sud. Questo paese è così ingiusto, diseguale e in declino
sociale ed economico perché molto di quanto previsto nella nostra Costituzione è
rimasto inapplicato, quando non è stato tradito. Occorre rinnovare e ricucire il
rapporto sfibrato tra Stato e Società, tra istituzioni e quella consistente fetta di cittadine e
cittadini delusi che si sono sentiti traditi e lasciati soli dalle istituzioni e dalla politica.
Bisogna nobilitare la politica, riqualificarla non demonizzarla. C’è necessità di mobilitare la
società civile, le donne e gli uomini che hanno costruito i movimenti di questi anni, riempito
le piazze per difendere lavoro, diritti e uguaglianza sociale e di genere. Donne e uomini
sensibili ai valori e ai principi costituzionali che non si piegano alla demagogia e alla
semplificazione populista e razzista di tanti politici, a destra e purtroppo anche a sinistra.
Certo lo sappiamo, ne siamo consapevoli che molti saranno i Si del mondo del
lavoro e dei ceti popolari, mossi da una rabbia, un rancore, un disprezzo diffusi in
anni in cui la politica e le istituzioni hanno fatto di tutto per meritarseli, senza che
nessuna forza politica democratica e di sinistra facesse da argine e contrastasse un
sentire sfociato nell’arretramento valoriale e culturale. Una parte del popolo voterà Si,
come se dal numero dei parlamentari derivassero i mali del paese e le proprie condizioni
di disagio o di povertà. Un perfetto capro espiatorio e un utile diversivo sociale. Se riduci il
Senato e la Camera avrai un Parlamento con un ceto politico non migliore ma più
permeabile, più sensibile alle lobby, ai poteri forti e avranno più potere le segreterie di
partito che decideranno di portare a rappresentare i territori, i cittadini italiani, gli amici e i
più fedeli al capo. Ricordiamo che già nel 2014 la Corte costituzionale ha detto che non è
legittima una legge elettorale nella quale “l’elettore è privato di ogni margine di scelta dei
propri rappresentanti”, lasciando che essa sia “totalmente rimessa ai partiti”. E se accentri
i poteri nelle mani dell’esecutivo e svuoti il Parlamento, se annulli o riduci la
rappresentanza politica degli interessi nell’impianto costituzionale, lo farai anche sul piano
sociale, colpendo e disconoscendo la rappresentanza sociale, la parte meno protetta, il
mondo del lavoro dipendente, i settori più deboli della società. E se allarghi la dimensione
territoriale dei collegi e innalzi il rapporto numerico tra eletti ed elettori i rappresentanti
saranno sempre più lontani dai cittadini, meno controllabili, meno responsabili delle loro
scelte verso chi li ha eletti. Vincerà così la vera “casta” dei poteri forti, e la politica di
élite e dei ricchi. L’istituzione parlamentare, il cuore della nostra democrazia
rappresentativa del popolo “sovrano”, che dà fiducia al governo, elegge il Presidente della
Repubblica, nomina un terzo dei giudici Costituzionali e i componenti laici del CSM, oltre
ad approvare tutte le leggi dello Stato, potrebbe subire una grave mutilazione. C’è chi
sostiene che con il Si si salverà anche il governo e il patto politico tra le forze di
maggioranza. Pensano, erroneamente, di fermare la corsa della brutale destra e del
populismo. Lo stesso errore fatto nell’ottobre del 2001 con la riforma costituzionale del
titolo V. La sinistra di governo pensava con quella riforma di fermare le spinte
secessioniste della Lega, invece, come stiamo constatando, si è minata l’unità del paese,
aggredita da spinte regionalistiche divisive e accentratrici, competitive rispetto alle funzioni
e al ruolo dello Stato. Oggi se insegui la destra e i populisti sul loro terreno spiani la
strada a chi vuole ridurre sempre più il ruolo legislativo e di controllo del
Parlamento in favore dell’uomo solo al comando. Non si scambia ciò che non può
essere scambiato, la nostra democrazia parlamentare con le alleanze di governo.
Questa non è una riforma e neppure un primo passo verso cambiamenti ispirati
rigorosamente alla Costituzione. Non va sottovalutato il danno sociale e culturale e le
conseguenze che porterà con sé questo taglio che renderà i forti ancor più forti e i
deboli ancor più deboli.

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La Costituzione non prevede una “dittatura della maggioranza” e non riconosce un
“sovrano” o un uomo solo al comando. Il Parlamento è il luogo in cui si rappresenta la
sovranità popolare, in cui il popolo conta e si rappresenta come un insieme di cittadini e
non di sudditi. È l’istituzione a cui è demandata la legittimazione democratica della politica,
in cui si valorizza il pensiero, il confronto, il valore e l’essenza della democrazia
rappresentativa del popolo sovrano. La vittoria del Si non sarebbe l’affermazione del
potere popolare sulle istituzioni, della democrazia partecipata, ma una manifestazione di
disinteresse e di sfiducia del popolo verso le istituzioni e la politica tutta. Sarebbe un bel
regalo ai poteri forti, alle lobby, alla criminalità organizzata da parte di una politica che si
autodistrugge e si discredita, e di partiti senza o con pochissima presenza nei territori,
senza un vero progetto e una visione di futuro. I partiti perdono la loro influenza e la
capacità di rappresentanza e il Parlamento pure. Questo dovrebbe allarmare ogni
democratico, ogni progressista, ogni antifascista perché è la nostra democrazia a
cedere il passo a soluzioni che possono divenire ed essere autoritarie. Il governo e
l’alleanza politica traballante tra Pd e 5 stelle non si giocano il futuro con il risultato del
voto referendario. Con il voto referendario si gioca ben altro, qualcosa di più importante. Il
governo, e con esso i partiti che lo sostengono, non reggerà sulle alchimie politiciste ma
sulla capacità di affrontare i limiti e le criticità strutturali del paese, su come saprà utilizzare
le risorse europee Next Generation Eu, ovvero del Recovery Fond, dando risposte ai
problemi strutturali del paese e alle difficoltà occupazionali, economiche e sociali delle
persone. Il governo potrà reggere se saprà parlare al mondo del lavoro, ai disoccupati, alle
nuove generazioni, ai pensionati, ai ceti popolari che pagano pesantemente la crisi in atto.
Se non subirà i ricatti e i condizionamenti delle lobby e dei poteri forti, se saprà costruire
progetti alternativi di lungo periodo con al centro il lavoro, il bene pubblico e i diritti civili e
costituzionali. E se saprà difendere la democrazia repubblicana e darsi una politica
sull’immigrazione cancellando, finalmente, la deriva razzista e securitaria, socialmente
aggressiva, presente nei “decreti Salvini”. Se non sarà subalterno e accondiscendente
nelle politiche sul lavoro, come abbiamo visto a Cernobbio, verso Confindustria,
rappresentata oggi da un presidente che si colloca in rottura e politicamente in
opposizione al governo con un programma di restaurazione sociale. Dietro la
svalorizzazione della politica come entità collettiva con capacità di cambiare la
realtà, c’è sempre uno scontro degli interessi di classe con il primato dell’impresa e
la centralità del mercato e del profitto. Il taglio dei parlamentari è stato votato dal 97%
dei deputati e non dovrebbe creare fibrillazioni nel governo e nei partiti di maggioranza.
Certo che quella maggioranza schiacciante potrebbe risultare non cosi rappresentativa nel
paese se dalle urne uscisse un messaggio di dissenso politico significativo con un numero
considerevole di NO. L’elettore democratico, progressista e di sinistra non può essere
maldestramente ricattato e responsabilizzato sulla caduta del governo se voterà No. Il
paternalismo, il trasformismo e l’opportunismo sono nemici mortali per la sinistra politica e
per il suo popolo. Infine, come sinistra sindacale organizzata in Cgil non abbiamo mai
rinunciato alla nostra idealità, alla radicalità di pensiero e di proposta.
Siamo uomini e donne della CGIL con un forte senso di appartenenza. Sappiamo
della difficoltà della nostra Organizzazione in una fase socialmente terribile, e pur non
condividendo la scelta di non schierarsi in questo referendum costituzionale, sappiamo
che è con la nostra Cgil che possiamo costruire insieme il cambiamento necessario, senza
rinunciare ai valori e ai simboli potenti che neppure un virus terribile può uccidere. Votare
No, per difendere la Costituzione, la rappresentanza, la partecipazione democratica; non
ci vuole coraggio ma coerenza e consapevolezza della vera posta in gioco: il futuro della
nostra democrazia costituzionale. Grazie dell’attenzione

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