Dicono che il ministro Andrea Orlando sia furioso per la dichiarazione con cui, repentinamente, la presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, ha fatto sapere che per la segreteria nazionale del Pd sosterrà Renzi. Furioso non perché la Marini conti nello scacchiere nazionale del partito, anzi di quello che ormai più che un partito appare come la somma di una federazione di partiti e di capi e cacicchi territoriali, ma perché la Marini era stata, nella corrente cosiddetta dei ‘Giovani turchi’, vicina ad Orlando. Proprio Orlando, insieme a Matteo Orfini - l’altro leader dei Giovani turchi, che poi si è alleato strettamente con Renzi - aveva ripagato la Marini evitandole le primarie per ricandidarsi alla presidenza della Regione.

Nel marasma del Pd, tra la corsa impressa da Renzi per arrivare alle primarie per la scelta del segretario nazionale e i sondaggi – l’ultimo è quello di Technè – che danno il Pd post scissione tra il 22% e il 23%, la confusione regna sovrana. L’unica cosa chiara è che Renzi vuole correre per essere riconfermato segretario prima delle elezioni amministrative di primavera. Questo perché teme che una nuova sconfitta potrebbe precludergli il ritorno alla segreteria e la spallata per far cadere prima possibile il Governo Gentiloni, come già fece con il Governo Letta.

Nella decisione della Marini, secondo i rumors raccolti un po’ a Roma nei Palazzi del Pd e un po’ negli ambienti del Pd umbro, avrebbero giocato le rassicurazioni fornite dal team renziano sulla candidature per il Parlamento, ma anche la voglia di non contarsi con Bocci. Anche il sottosegretario ha scelto di stare con Renzi, scelta comprensibile anche alla luce del fatto che il Pd sembra diventato la vecchia Margherita, e schierarsi con Orlando avrebbe significato per la Marini contarsi con Bocci. Appoggiare Renzi, e quindi confondere la consistenza dei propri voti, annacqua il tutto ed evita la conta, che la presidente teme sapendo che, se uscisse battuta, diventerebbe del tutto prigioniera della rete bocciana, che già la stringe da molti lati, diventando una sorta di re – o meglio, regina - travicello.

Ovviamente, né a livello nazionale né tantomeno in Umbria il Pd sente il bisogno di definire un programma intorno al quale legare ceti sociali e forze di rappresentanza. Tutto è diventato una questione di nomi e su questa strada secondo molti il partito andrà a schiantarsi un’altra volta, dopo la batosta presa nel referendum. Tantopiù che Renzi ha perso, dopo le regionali, le amministrative e il referendum, l’aureola del vincente. Ora il suo obiettivo è garantirsi un numero di deputati e senatori per continuare ad avere un ruolo nella prossima legislatura e c’è da giurare che lavorerà per mantenere l’elezione automatica dei capilista. Anche la sua idea del Partito della Nazione, infatti, appare acciaccata e l’obiettivo di attrarre una parte importante dell’elettorato di centrodestra naufragherà del tutto se il centrodestra, oggi dato nei sondaggi nettamente più forte del Pd, riuscirà a presentarsi unito con un listone e con l’indicazione di Zaia come premier nel caso il centrodestra superasse il 40% e avesse quindi il premio di maggioranza.

Al Pd, oggi come oggi, manca un programma dopo la confitta di quello portato avanti da Renzi. Anche quello che viene definito congresso tale non è. È una conta tra nomi attraverso le primarie, senza un dibattito vero, largo e partecipato. Meglio del voto on-line dei grillini, ma non certo un evento capace di dare linfa, slancio, idee, dibattito a un partito la cui consuetudine col potere ha reso bolso e con poco appeal. L’unica cosa che il partito mostra sono i posizionamenti interni. L’impressione è che i dem ballino sul Titanic. Questo in Italia e ancora di più in Umbria, dove evidentemente la grande paura alle ultime regionali non ha insegnato nulla. Con i pochi sondaggi che girano sull’Umbria che mostrano un ulteriore arretramento del centrosinistra.

Sul fronte della scissione, continuano i movimenti. L’impressione è che la partita sia ancora in corso. Il sondaggio di Techné, l’unico per ora uscito dopo l’annuncio della scissione, assegna al Pd il 22,6% e il 10,3% al nuovo partito, che attrarrebbe un 3% dai Cinque stelle. Sinistra italiana, da parte sua, sarebbe al 3%. Ma si tratta di cifre da prendere con le molle. L’impressione è che molto ancora debba accadere.  

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