di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Massimiliano Santopadre ha deciso: non molla. Resta, allo stato, alla guida del Perugia. Ha chiesto scusa ai tifosi ed alla città, utilizzando come i re, il "plurale maiestatis", ma il flop (il secondo in tre anni) non lo ritiene sufficiente a fargli compiere un passo indietro.
Forse vorrà valutare anche le offerte di acquisto del pacchetto azionario che gli sarebbero arrivate, secondo "rumores" insistenti, in quest'ultimo periodo. Di sicuro - lo ha reso noto col comunicato di domenica pomeriggio - sta facendo i conti per verificare i costi della gestione aziendale in Lega Pro, nella quale il Perugia dovrà ora misurarsi.
Che intendesse restare era nell'aria. Per il carattere e per i modi di comportamento, che contraddistinguono SP.  Si aggiunga, poi, la sua mentalità squisitamente commerciale, tratto peculiare della sua visione del mondo e delle cose.
Cederà le azioni del club, di cui è gestore unico, solo e soltanto se lo riterrà conveniente per se stesso, sebbene talvolta abbia sostenuto che sarebbe pronto a passare la mano a chi mostrasse affidabilità, ai suoi occhi, nel prendersi cura del club. Come se un oste vendesse il vino solo agli enofili ed ai buongustai e non a chi paga.
Santopadre, insomma, nonostante tutto e tutti (quasi) gli siano contrari o, persino, ostili, vuole continuare a tenere in pugno il timone biancorosso.
Non ha seguito l'esempio del "sor Lino" (Spagnoli: c'è bisogno di dirlo?) che duramente contestato, dopo aver riportato i Grifoni in serie B e alla conclusione di una stagione aspra e deludente, regalò, da vero signore, le azioni societarie ad una nuova cordata, a sua volta pronta ad aprire la strada al gruppo Franco d'Attoma-Spartaco Ghini e numerosi altri industriali locali, "entourage" autore del periodo aureo, sotto la guida tecnica di Ilario Castagnèr e di Silvano Ramaccioni, una vera era epica, coronata dall'Imbattibilità e dal secondo posto in serie A, tanto da far meritare alla società e alla squadra l'onorifica definizione di "Perugia dei Miracoli".
Che SP non abbia le potenzialità economiche per inseguire sogni di gloria o obbiettivi soddisfacenti, non lo affermano i critici, ma lo stesso l'imprenditore laziale che lo ha ribadito a più riprese. E le due retrocessioni in tre anni, senza scomodare altri elementi, sono lì a testimoniarlo ampiamente.
Così come, lui stesso, si è rivolto l'elogio ed il merito di aver tenuto, in questi anni, sempre in ordine i bilanci del club (grazie anche alle cospicue plusvalenze ottenute con il lavoro dei vari tecnici ed in particolare di direttori sportivi quali Roberto Goretti e Marco Giannitti).
Ma se l'amministratore unico non possiede le disponibilità finanziarie da gettare sul tavolo del calcio e se i conti dell'azienda hanno vissuto un andamento continuamente in positivo, quale motivo spinge il "Santo" a continuare la sua esperienza calcistica umbra? Intende emulare il suo omologo di Terni, Stefano Bandecchi, che coltiva ambizioni non soltanto calcistiche, ma anche politiche?
Guadagna forse, denaro sonante più che col calcio giocato con le sponsorizzazioni ed il materiale di gioco ceduto alle accademie satelliti?
La gestione di un club - lo ha affermato, al Curi, il presidente del Benevento, Oreste Vigorito - non rende ricchi, anzi sottrae sostanze cospicue (il mecenate campano ha confidato di aver investito nel team sannita, 21 milioni, per conquistare l'ultimo posto...). Perché mai, pertanto, l'imprenditore tessile di Fiano Romano si aggrappa ancora ad una caparbia resistenza?
Ai tempi dell'antica Roma gli organizzatori di spettacoli del circo (detti lanisti) se offrivano giochi nell'arena di basso profilo, con gladiatori scarsi e animali feroci, ma vecchi e malandati e, quindi, non di gusto del popolo, venivano cacciati dai magistrati (i questori), lontano dall'Urbe, quando non puniti, più o meno severamente.
"Comprol tu!", ripetono i sempre più rari estimatori di SP, a difesa dell'amministratore unico.
Non si vedono all'orizzonte acquirenti? Una via di uscita, ci sarebbe. Ed elegante, signorile: portare i bilanci in Comune e lasciare alla guida della città la responsabilità di trovare un successore.
Santopadre sostiene di impegnarsi perché ama Perugia (ma anche per tutelare la persona, o l'oggetto amato, si può fare un passo indietro). E a dimostrazione del suo legame con la squadra e la città é uso esibire il Grifo che si è fatto disegnare sul braccio: l'amore condensato in un tatuaggio.
Basterà a convincere la piazza ed i perugini (alcuni dei quali sui social e nei ritrovi annunciano di voler lanciare la campagna "boicottare lo stadio"), che il mitico animale, simbolo della storia di Perugia, lo tengono, piuttosto, impresso nel cuore?

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