In questi giorni si torna a parlare di Jobs Act e, più specificatamente, di un referendum per l’abrogazione del Jobs Act di Renzi.

Il Jobs Act ha delineato in questi anni il nuovo orizzonte del lavoro: un lavoro con meno diritti e più potere alle imprese; un lavoro con contratti differenziati e con estesa precarietà; un lavoro con salari spinti in basso e senza protezione.

Si tratta di una strada sbagliata. È sbagliata sul piano dei valori, perché il lavoro non è una merce, come ci ricorda la Costituzione. È sbagliata sul piano sociale e politico, perché riduce i diritti e la democrazia. È sbagliata sul piano economico, perché non è il mercato del lavoro flessibile che ci farà uscire dalla crisi e aumenterà l’occupazione. Abbiamo bisogno di un altro orizzonte, che metta al centro la persona che lavora. La questione del lavoro non si esaurisce con le regole del mercato del lavoro. Il lavoro delinea le prospettive di vita delle persone. Non è solo questione di salario e reddito, ma di conoscenze, possibilità di scelta, relazioni con altri, inclusione e mobilità sociale, realizzazione personale.

Occorrono delle proposte chiare, almeno quattro possono essere. La prima è l’intervento pubblico per la creazione diretta di buona occupazione, per una buona economia.
La seconda è l’intervento sugli orari di lavoro, per la loro riduzione e redistribuzione, favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e l’equa ripartizione del lavoro di cura tra gli uomini e le donne.
La terza è la riforma dei contratti di lavoro, che ne riduca drasticamente le tipologie, restituendo a chi lavora la protezione dal licenziamento e tutelando il ruolo dei contratti di lavoro nazionali.
La quarta è l’introduzione di un reddito minimo, che estenda davvero a tutti il sistema di protezione sociale, in particolare a quella parte del lavoro precario e autonomo, che attualmente ne è escluso.

Sono proposte che uniscono misure concrete, realizzabili subito, con un orizzonte di cambiamento profondo dell’economia. Impongono una maggiore efficienza della macchina amministrativa, una nuova politica industriale, una diversa politica fiscale e una forte redistribuzione del reddito; ma richiedono anche un cambiamento delle produzioni, del consumo e degli stili di vita. Accompagnano e devono essere accompagnate da una trasformazione economica e culturale, nella direzione della sostenibilità ambientale e della giustizia sociale.

Tali proposte possono essere articolate anche in Umbria, nella nostra regione, dalla coalizione dei Progressisti, per incidere sulla realtà concreta di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, per dimostrare concretamente che l’alternativa alle politiche della Destra esiste ed è praticabile. È praticabile dalla coalizione dei Progressisti.

Stefano Vinti

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