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di Ing. Giocondo Talamonti Più che una corsa, è una rincorsa. Il Tour de France è diventato il setaccio di tutti gli illeciti in tema di doping; la cartina tornasole della furbizia sportiva auto lesiva. Chi passa indenne le forche caudine dei controlli francesi ha la strada spianata per “farsi” impunemente per tutto l’anno che resta. Fra le maglie strette della rete c’è rimasto Riccardo Riccò, giovane di belle speranze, indicato dagli esperti come l’erede di Pantani. E gli esperti, si sa, non sbagliano. Un ragazzino che ti strapazza i veterani, mai li umilia, qualche sospetto lo desta a partire dai colleghi. In effetti qualcuno ha provato a richiamare l’attenzione, ma aveva il difetto di essere francese e di avere la stessa età del nostro, quindi, inattendibile. Il commentatore televisivo, anima ingenua, eternamente persa in previsioni mancate, s’era scagliato contro quel “cugino traditore” che aveva avanzato dubbi sullo scatto di Riccò che aveva stroncato ogni intenzione di reazione dei migliori. Quel parente d’oltralpe, fra l’altro, portava un cognome italiano, Di Girolamo, così che lo “sgarbo” suonava ancor più pesante alle orecchie del commentatore, per niente attenuato dal nome, Remy. Tutta la squadra di Riccò si è ritirata dal Tour. Tornano a casa meccanici, massaggiatori, riparatori. gente che con il ciclismo guadagna poco o niente, se non fosse per la soddisfazione che gli viene da una fede incrollabile. Adesso la colpa è tutta di Riccò. Come se assumere una sostanza così sofisticata, quale epo dalle molecole non individuabili, almeno fino ad allora, in tradizionali test anti-doping, fosse una cosetta che può gestire un ventiquattrenne. Dietro alla vittima di turno, ci stanno schiere di chimici, di medici, di direttori sportivi, di sponsor, di intrallazzatori, di strateghi del crimine e di cretini che seguitano ad entusiasmarsi nonostante tutto. Allora, si salvano solo gli analisti del Tour? No, neanche quelli, perché sono gli stessi che hanno chiuso la bocca, gli occhi, il naso e le orecchie sulle sei vittorie consecutive di Armstrong al Tour, utili a superare una crisi d’immagine della corsa e rilanciarla in America in attesa di interessi che sono puntualmente arrivati. Solo dopo otto anni, quegli stessi predicatori della correttezza sportiva hanno condannato Armstrong, reo di essersi drogato in occasione del primo giro vinto. Tra otto anni, sarà condannato per il secondo. E così via. Nessuno si scandalizzi, l’ipocrisia è di casa. Condividi