Come ti frego la pensione. Manuale illustrato per uno scippo tra generazioni

Di Amerigo Rivieccio
Ma che fine fanno i soldi che i lavoratori versano allo stato sotto forma di contributi previdenziali?
I
soldi che un giovane lavoratore ‘presta’ allo stato versando i
contributi Inps oggi e che lo stato restituirà al lavoratore, sotto
forma di pensione, tra 30 o 40 anni quanto fruttano al lavoratore in
termini di interessi?
La domanda non è peregrina in quanto ciascun
lavoratore, grazie ai propri contributi previdenziali, crea un rapporto
di credito nei confronti dello Stato, ti do i miei soldi in mano da
oggi a quando mi verrà liquidato il trattamento pensionistico, fanne
buon uso e fammeli rendere bene, visto che più rendono questi soldi e
più alta sarà la mia pensione.
Ed il rendimento che lo Stato
concede ai contributi che ciascun lavoratore faticosamente accantona
nel corso della propria vita lavorativa è un dato che non va affatto
sottovalutato in quanto costituisce una delle chiavi di volta del
sistema messo in piedi dalla mai abbastanza vituperata legge nota come
Riforma Dini per impoverire i lavoratori in pensione.
Prendiamo, ad
esempio, un impiegato che ha nel 2009 e nel 2010 un reddito lordo
imponibile ai fini previdenziali pari, per ciascun anno, a circa 36.000
euro. I contributi che verranno versati sul suo conto e alimenteranno
il suo Montante Contributivo Individuale sono pari a circa 12.000 euro
l’anno, 1.000 euro al mese da gennaio 2009 a dicembre 2010.
Il primo
meccanismo perverso consiste nel fatto che la Dini prevede che questi
contributi non siano affatto rivalutati nell’anno in cui vengono
versati, il lavoratore versa 1.000 euro a gennaio, 1.000 e febbraio e
così via ma l’Inps ragiona come se avesse versato 12.000 euro il 31
dicembre, si tiene in mano i 1.000 euro di gennaio gratis per 11 mesi e
ricambia facendo marameo, oggi i tassi sono bassi e la perdita per i
lavoratori è limitata ma con tassi elevati già questa operazione
sarebbe un piccolo salasso.
Quando, dall’anno dopo a quello di
versamento, viene effettuata la rivalutazione dei contributi scatta il
secondo meccanismo perverso, forse il peggiore, i contributi vengono
infatti rivalutati di un tasso di capitalizzazione che “è dato dalla
variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL)
nominale, appositamente calcolata dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l'anno da
rivalutare.”. Inoltre se da una parte non viene effettuata alcuna
rivalutazione se la media dei 5 anni è negativa d’altra parte
l’eventuale singolo risultato del Pil fortemente negativo non viene
eliminato e pesa come un macigno per i 5 anni successivi, tirando in
basso quella media, le rivalutazioni dei contributi e le future
pensioni.
Proprio nel 2009 l’Italia ha chiuso l’anno con una
riduzione forte del Pil nominale, che ha fatto segnare meno 3%, ragion
per cui nei 5 anni successivi in cui questo meno 3% è presente, gli
anni compresi tra il 2010 ed il 2014, assisteremo a rivalutazioni dei
montanti contributivi particolarmente basse.
I contributi versati
fino al 31 dicembre 2009 verranno infatti rivalutati, per tutto il
2010, appena dello 1, 79 %, un tasso che addirittura non copre neanche
il tasso d’inflazione che oggi è al 2,0 %. (Ipca di ottobre 2010).
In termini reali quindi i contributi che sono stati versati allo Stato oggi valgono meno di un anno fa.
Ben
diverso è invece stato il trattamento riservato a chi aveva dei soldi
da parte ed ha deciso di prestarli allo Stato acquistato dei titoli del
debito pubblico, a loro il rendimento assicurato nel corso del 2010,
come reso noto dalla Banca d’Italia, è risultato compreso tra il 3,1 ed
il 3,4 %.
E non bisogna commettere l’errore di pensare che in fondo
la differenza sia poca cosa, 12.000 euro di contributi rivalutati per
40 anni al 3,4 per cento danno oltre 44.000 mila euro mentre rivalutati
all’1,79 non arrivano neanche a 24.000, ovvero una quota di pensione
maturata nel 2009 pari a circa la metà.
Da dazebao.org

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