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Già impegnati nel 2009 per l’omaggio che Gubbio rese ad Alan Caiger-Smith, Lucia Angeloni e Maurizio Tittarelli Rubboli tornano sull’argomento dei lustri con una breve esposizione, suggestivamente intitolata Lumen et Splendor, curata da Marinella Caputo e Ettore Sannipoli alla Galleria La Porta di Gubbio. Nell'occasione, il lustro accomuna i due artisti anche per la stretta collaborazione operativa che vede alcuni vasi dell’eugubina Angeloni finiti a lustro nelle antiche fornaci Rubboli di Gualdo Tadino. Evento storico questo che, segnala Cesare Coppari in apertura del catalogo della mostra, pare indicare la fine alle ostilità fra le due cittadine umbre perennemente in competizione anche nella ceramica su cui entrambe vantano antichissime tradizioni. Una sorta di pax figulina, quindi, che nasce sotto gli auspici dei comuni di Gualdo Tadino e di Gubbio, della Provincia di Perugia e della Regione dell’Umbria di cui la mostra ha il patrocinio e che trova terreno favorevole nei tentativi, più volte dichiarati dai rappresentanti delle comunità locali, di fare fronte comune alla attuale grave crisi della ceramica artistica umbra. La mostra ha, d’altra parte, il dichiarato intento di dare continuità alla “ Vitalità perenne del lustro” che, tra proponimento e constatazione, Gian Carlo Bojani animava più di dieci anni fa allorché a Gubbio, in occasione del cinquecentenario della cittadinanza eugubina di Mastro Giorgio, si avviava una riconsiderazione storico-artistica del lustro e delle sue sopravvivenze attuali. Tuttavia, mentre la ricerca storica recente si è indirizzata per Gubbio verso gli antecedenti di Andreoli (si veda ad esempio il recente saggio di Ettore Sannipoli nel catalogo della mostra La via della ceramica tra Umbria e Marche in corso a Palazzo ducale di Gubbio) e per Gualdo Tadino verso la individuazione dei promotori della ripresa di fine Ottocento (si veda, ugualmente recente, il volume di Marinella Caputo dedicato alla Collezione Rubboli), sulla attualità della produzione umbra di lustro le novità provengono poco o niente dalle aziende artigiane -con la pregevole eccezione della fabbrica Rampini di Gubbio che ha accolto le esercitazioni di Alan Peascod e Alan Caiger-Smith- mentre artisti maturi come sono Lucia Angeloni e Maurizio Tittarelli Rubboli riescono a coglierne appieno le potenzialità espressive. Spiega, a proposito, Marinella Caputo nel catalogo della mostra che a guidare la ricerca dei due artisti “è la luce, come energia intrinseca del visibile, nel carattere costruttivo della forma plastica e nella natura riflettente della superficie”. E’ perciò che, pur ricorrendo spesso, a forme d'uso provenienti dalla produzione di fabbrica -ciotole e candelieri per Tittarelli, brocche e piatti per Angeloni- che entrambi figli d'arte devono aver conosciuto nella propria infanzia, l'abbondanza di lustro le rende inutilizzabili e le destina alla contemplazione e alla meditazione. Gli intenti e i riferimenti personali emergono evidenti nelle opere dei due artisti: Rubboli si porta addirittura dietro le porte di casa (fabbrica) per farne la base delle installazioni e la Angeloni non sfugge alle forme archetipali del piatto e del vaso che si riconfigurano da frammenti strappati o da sottili e fitte strisce incollate. E’ esplicita, poi, l’autobiografia nel pannello calendario a quarantasette fogli di Lucia Angeloni e nelle personalità multiple che Maurizio Rubboli appoggia sulle eteronimie dello scrittore Fernando Pessoa di cui è attento e appassionato cultore. Le vie del lustro umbro sembrano, così, inerpicarsi sulle strade impervie dell'introspezione psicologica e delle intimità personali, ma si erano già avviate da qualche tempo su vie senza uscita con i ripetuti tentativi di innovare forzatamente la produzione delle aziende artigiane umbre. Tra i più recenti, la mostra-progetto “Le tradizioni contemporanee” alla Triennale di Gualdo Tadino del 2009 curata da Nello Teodori che impegnò un bel gruppo di artisti, tra cui lo stesso Maurizio Tittarelli Rubboli, alla realizzazione di oggetti d'arredo con design moderno ma lustrati con tecniche antiche con risultati artistici più che apprezzabili che gli organizzatori speravano funzionasse da stimolo per le imprese artigiane del territorio, quale opportunità di rinnovare la produzione. Al contrario, la spinta verso la ricerca, la delega all’innovazione conferita agli artisti potrà portare rapidamente alle soluzioni del tipo “studio pottery” su cui già si sono attestati molti laboratori artigianali-artistici di gran parte dell’Europa e degli States, cioè sempre meno manifatture industriali sul modello organizzativo ottocentesco su cui tutto il tessuto produttivo umbro del comparto ceramico si è sviluppato nel secolo scorso, e sempre più singoli laboratori di limitata capacità produttiva e commerciale, ma con maggiore qualità artistica e proposta culturale. Ciò vale, a maggior ragione, per il lustro che mal si presta alla produzione seriale, alla standardizzazione e alle economie di scala di cui necessitano le organizzazioni produttive di carattere industriale. Benché riemerso fra otto e novecento proprio nelle rinate industrie umbre, ma impossibilitato a “dare più di quel che riceve”, per citare la sibillina conclusione cui perviene Cesare Coppari, il lustro appare, perciò, avaro di prospettive per l’artigianato umbro, mentre si fa strada come autonomo linguaggio espressivo di artisti della ceramica. Franco Cocchi Condividi