Editoriale di Alessandro Cardulli
Ormai l’informazione non racconta i fatti, ciò che avviene, come la pensa questo o quello, non dà conto della realtà. Il giornalista, quando va bene, fa raccontare i fatti dai protagonisti, fornisce le loro versioni, i loro commenti.
Quando va male, sempre più frequentemente, l’informazione scompare del tutto per lasciare il posto alla propaganda, dalla più becera, leggi Feltri e Belpietro, alla più raffinata, leggi Ferrara, alla più servile, leggi Minzolini.
La disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici da parte di Federmeccanica rappresenta un “campione” di questa dis-informazione. Certo c’è stata la contestazione a Raffaele Bonanni, che ha fatto da paravento, che ha immediatamente spostato il discorso su un episodio certamente inquietante per due motivi: in primo luogo c’è un diritto di espressione che deve essere garantito a chiunque,nel rispetto della Costituzione e delle leggi. Questo vale per tutti. Bossi che spernacchia Fini, alza il dito medio, minaccia di portare a Roma, sotto le finestre del Quirinale, dieci milioni di persone, un “avvertimento” per Napolitano a rigar dritto, non è da meno di quel cretino/a che lancia un lacrimogeno contro il segretario generale della Cisl. C’è da chiedersi se in Italia si può girare tranquillamente con i lacrimogeni in tasca, mentre, per esempio, se ad un incrocio si vede un lavavetri, apriti cielo, arrivano vigili urbani e poliziotti.
I diritti non sono merce in vendita
Allora torniamo al fatto. Nel 2008 viene firmato il nuovo contratto di lavoro dei metalmeccanici. Lo siglano tutti i sindacati, lo approvano i lavoratori. La scadenza: fine dell’anno 2011. Regge l’accordo fra Federmeccanica e la organizzazioni dei lavoratori. Si siglano, nel rispetto delle regole stabilite nazionalmente, accordi aziendali. La Fiom-Cgil non si tira indietro per quanto riguarda organizzazione del lavoro, produttività, turnazione. Ma avverte che i diritti dei lavoratori, diritto di sciopero, diritto alla salute in particolare non sono in vendita, non sono “merce”. La crisi economica pone un problema di fondo, agli imprenditori, al governo, ai sindacati, alle forze politiche: quale politica industriale mette in campo il governo di Berlusconi; Quali scelte per riorganizzare la produzione, la ricerca di una nuova competitività, l’innovazione da parte del mondo imprenditoriale, diviso fra alcuni grandi gruppi e una miriade di piccole e medie imprese; Quale ruolo intende giocare il sindacato mentre aumentano in modo vertiginoso cassa integrazione, disoccupazione.
La crisi e il capitalismo straccione
La misura della crisi la offre il Pil, anche se non indica il quadro completo della situazione economico-sociale di un paese, una società. Una caduta continua fino alla previsione di una crescita zero, per la precisione più 0,1 è la previsione dell’Ocse per questo ultimo quadrimestre. Il capitalismo straccione italiano, in combutta con un governo altrettanto straccione, vede una sola via di uscita: limitare i diritti dei lavoratori, il potere di intervento sull’organizzazione del lavoro, eliminare il “conflitto”, che è naturale in una società democratica, come dice anche il vecchio falco, proprio della Fiat, Cesare Romiti.
Insomma mano libera al padrone che opera ignobili ricatti, come fa Sergio Marchionne, il “ moderno” manager del Lingotto, che vuole scambiare diritti con il posto di lavoro. Gongola il governo, anzi è proprio il ministro Sacconi a guidare le danze. Cisl e Uil abbagliate dalla possibilità di strappare qualcosa in termini di salario svuotando il contratto nazionale e spostando a livello aziendale trattative con i padroni firmano uno scellerato patto nel 2009, promotore di fatto il governo, che rappresenta una deroga totale all’accordo nazionale . La Cgil non firma. I lavoratori non vengono consultati. Aumento della produttività e possibilità di aumenti salariali: questi i due “ pilastri” della nuova contrattazione che vedono conciliare gli interessi dei padroni e quelli dei lavoratori, secondo le versioni date dal governo, dalla Confindustria, da Cisl e Uil. Fallimento totale:per quanto riguarda la competitività l’Italia resta fanalino di coda, al 48° posto, per i salari c’è solo da dire che si allaga la forbice fra le retribuzioni di un operaio e quelle dei dirigenti aziendali, manager in testa. La nuova “linea” di relazioni industriali di cui parlano Marchionne, Marcegaglia, Sacconi, Bonanni, Angeletti si sperimenta per volere della Fiat proprio nella categoria più combattiva , i metalmeccanici.
La Fiom rischia di rimaner fuori dalle fabbriche
Trova una forte resistenza anche se il ricatto, se vuoi lavorare - vedi Pomigliano - rinuncia a diritti è pesantissimo. Partono rappresaglie come ai tempi più bui quando nelle fabbriche Fiat si licenziavano, si punivano i lavoratori iscritti alla Fiom. Marchionne licenzia a Melfi, Mirafiori, attacca i diritti nelle altre fabbriche. Di fronte ad una sentenza della magistratura che ordina il reintegro nel posto di lavoro dei licenziati di Melfi fa spallucce. I tre operai non possono riprendere il lavoro. Fuori dai cancelli della fabbrica, quasi fossero appestati. Ma l’operazione antioperaia, antisindacale aveva bisogno di essere completata. Lo esigeva Marchionne altrimenti lasciava Federmeccanica e Confindustria. E’ stato accontentato con la disdetta del contratto nazionale. Resterà in vigore solo nominalmente fino alla scadenza, ma è sostituito dalle “ deroghe”, in realtà un nuovo testo. La Fiom che resiste agli attacchi ai diritti, alle libertà, che pone con forza il problema della “dignità del lavoro” di cui ha parlato anche il Capo dello Stato, richiama appunto i valori della Costituzione, non siglando le “ deroghe” addirittura potrebbe essere tagliata fuori, eliminata per editto dei padroni, dalla presenza nelle aziende, in circa metà delle quali esiste solo il sindacato Cgil. In un sol colpo tabula rasa, fuori il sindacato dalle fabbriche.
I lavoratori mai consultati
I lavoratori non sono mai stati consultati, non hanno approvato “ deroghe”, finti contratti. L’atto compiuto dalla Federmeccanica si può definire solo con un nome: eversione. Mai era accaduto nella storia sindacale della di questo dopoguerra che un contratto nazionale venisse mandato al macero. Come è stato possibile? Si tratta di un tassello in una operazione di segno autoritario di cui capofila è il presidente del Consiglio, con la destra populista, parafascista. Proprio Berlusconi è il primo “ evasore” rispetto alla leggi. Costituzione, Corte Costituzionale, Magistratura, fino al Presidente della Repubblica gli vanno strette. Gli impediscono, dice Silvio Cesare, di governare . Gli equilibri dei poteri sono merce del passato. “ Ghe pensi mi” è il suo credo. In questo incrocia i padroni, il capitalismo straccione,la palude, la melma nella quale trovano cibo le varie “ cricche”. Berlusconi segna la strada e i padroni la percorrono. I contratti sono un impedimento, un intralcio, gli equilibri sociali un non senso, la bilancia deve pendere da una sola parte. L’attacco alla Fiom e alla Cgil è un segnale molto chiaro. Il tentativo di isolare organizzazioni che rappresentano milioni di lavoratori, è un passo decisivo per destabilizzare il paese, indebolire chi non accetta questo stato di cose, colpire la democrazia. La posta è questa. Ma non ci pare che le opposizioni abbiano colto in pieno il significato della disdetta del contratto delle tute blu . In particolare il Pd non può cavarsela dicendo che è grave che si tenti di dividere il sindacato. Perché non si tratta di un problema “solo” sindacale. Sarebbe il caso dicesse qualcosa di più. Da che parte sta, senza se e senza ma.
Da dazebao.org
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