ROMA - Lunardi e 'la cricca'. I risultati delle indagini preliminari svolte dalla procura di Perugia proverebbero, secondo gli inquirenti, che l'ex ministro delle Infrastrutture (ed oggi deputato) sarebbe stato corrotto dai componenti di quella presunta associazione per delinquere, denominata appunto 'la cricca', su cui indagano i pm perugini. Le carte dell'inchiesta sono ora al vaglio della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, accompagnate da una relazione del Tribunale dei ministri del capoluogo umbro che suona di per se' come un atto d'accusa.
Secondo i giudici, infatti, ''le emergenze processuali non depongono a favore di un provvedimento di archiviazione'' e la ''prospettiva accusatoria appare corroborata'', sia per quanto riguarda la ''contrarieta' dell'atto ai doveri d'ufficio'' sia con riferimento ''all'utilita' ricevuta''.
La vicenda - nella quale Lunardi e il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, sono indagati per corruzione - ruota attorno al presunto acquisto sottocosto da parte di una societa' di cui era amministratore il figlio di Lunardi di un immobile di Propaganda Fide, un palazzo cielo-terra su cinque piani in via dei Prefetti, nel centro di Roma. In cambio di questo acquisto a un prezzo di favore Lunardi, all'epoca ministro, avrebbe consentito che la Congregazione rappresentata dal cardinal Sepe accedesse ad un finanziamento 'Arcus' di 2 milioni e mezzo di euro ''in difetto dei presupposti''.
Nella Relazione che accompagna gli atti dell'inchiesta si sottolinea in particolare, sulla base di accertamenti della procura della Corte dei conti del Lazio, la ''assoluta carenza dei presupposti per la concessione del finanziamento pubblico 'Arcus' alla 'Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli o di Propaganda Fide', sollecitato personalmente dal ministro Lunardi''. Viene inoltre evidenziata la ''sproporzione tra prezzo pagato (3 milioni di euro - ndr) e valore dell'immobile, acquistato dalla societa' immobiliare amministrata dal figlio del ministro Lunardi''.
Sul punto vengono citate le dichiarazioni dell'architetto Angelo Zampolini, che avrebbe agito per conto del costruttore romano Diego Anemone. Anemone - insieme all'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci ed altri - e' ritenuto dagli inquirenti uno dei protagonisti della 'cricca' accusata della ''sistematica corruzione di pubblici ufficiali, funzionari e magistrati, finalizzata al conseguimento di illeciti vantaggi''; ''corruzione posta in essere - scrive il Tribunale dei ministri - anche nell'ipotesi accusatoria ascritta al Lunardi'', nella quale figurano ''come concorrenti'' pure Anemone, Balducci e Zampolini, ''sebbene non nominativamente indicati nel titolo del capo di imputazione''.
Balducci, infatti, viene indicato come il ''soggetto il cui intervento si rivelo' risolutivo per l'acquisto dell'immobile di via dei Prefetti''; inoltre ''era anche Consultore della Propaganda Fide, che si sarebbe avvantaggiata dell'indebito finanziamento, favorito dal Lunardi''. Anemone, invece, ''risulta presente alla stipula dell'atto di compravendita del palazzo di via dei Prefetti e ne segui' inizialmente i relativi lavori di ristrutturazione''; inoltre avrebbe intrattenuto ''rapporti con la figlia del Lunardi, cui avrebbe anche consegnato una busta - probabilmente contenente denaro finalizzato al finanziamento dell'operazione - per il tramite del suo uomo di fiducia Hidri Fathi Ben Laid''. L'architetto Zampolini, infine (''che per conto di Anemone trasformava la provvista di contanti forniti da quest'ultimo in assegni bancari e circolari utilizzati per l'acquisto di immobili a favore di pubblici ufficiali''), ''partecipo' all'operazione di compravendita dinanzi al notaio e ne segui' le connesse pratiche amministrative, su richiesta del Balducci''.
Secondo il Tribunale, dunque, la corruzione contestata a Lunardi (e al cardinal Sepe) si configura come ''reato-fine'' rispetto all'associazione per delinquere su cui indaga la procura di Perugia, che diventa cosi' territorialmente competente anche per il connesso reato contestato all'ex ministro e al cardinale.
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