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Il libro di Massimiliano Panarari “L’egemonia sotto culturale. L’Italia da Gramsci al gossip”, edito da Einaudi (pp. 145, € 16.5), tenta un’analisi sul lato nascosto e serissimo della frivolezza contemporanea in cui siamo immersi e ne costruisce una critica serrata. Panarari ritiene che la nuova dimensione del nazionalpopolare si esprima in programmi televisivi come “Striscia la notizia” e “Amici”, oppure in riviste come “Chi”, dove regna “l’appropriazione propagandistica delle parole e dello svuotamento del loro significato” in una pratica decisamente neoliberale. Panarari ritiene necessario opporsi alla visione del mondo veicolata dai media commerciali, anzi è proprio un imperativo morale. Da qui l’urgenza di capire come passare dall’egemonia sotto culturale ad una egemonia culturale di stampo gramsciano. Antonio Gramsci sugli intellettuali, dai “Quaderni del carcere”. “Ci può e ci deve essere una ‘egemonia politica’ anche prima della andata al Governo e non bisogna contare solo sul potere e sulla forza materiale che esso dà per esercitare la direzione o egemonia politica. Dalla politica dei moderati appare chiara questa verità ed è la soluzione di questo problema che ha reso possibile il Risorgimento nelle forme e nei limiti in cui esso si è effettuato di rivoluzione senza rivoluzione […]. I moderati esercitavano una potente attrazione, in modo ‘spontaneo’ su tutta la massa di intellettuali esistenti nel paese allo stato diffuso […]. Si rivela qui la verità di un criterio di ricerca storico-politico: non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni classe ha i suoi intellettuali; però gli intellettuali della classe storicamente progressiva esercitando un tale potere di attrazione che finiscono, in ultima analisi, col subordinarsi gli intellettuali delle altre classi”. La redazione Condividi