cossiga.jpg
Come sempre alla scomparsa di un personaggio pubblico si accompagna un profluvio di parole e d'inchiostro monotono e stonato, dove è difficile riconoscere elementi tangibili di valutazione; non importa se il suo operato sia stato giusto o sbagliato, tanto la morte lo fa bello lo stesso. È il caso del senatore a vita ed ex presidente Francesco Cossiga, un altro grande custode dei misteri irrisolti degli ultimi 30 anni della nostra Italia. Il suo è sempre stato un parlare cifrato; non a caso si definiva un “falso loquace”, che del “dire per non dire” ha fatto una vera e propria arte. Chi vuole ammiri pure l'artista, ma occorre far chiarezza sul politico. Eletto per la prima volta nel 1958, ha modo di mettere in mostra le sue qualità censorie pochi anni dopo come sottosegretario alla difesa del terzo governo moro, quando decise l'apposizione degli "omissis" sul rapporto Manes "per esigenze di segreto militare": si tratta della relazione conclusiva della commissione ministeriale di inchiesta sul piano “Solo” dei servizi segreti (il SIFAR), dove viene occultata la natura golpista delle manovre del generale De Lorenzo nell'estate del 1963, intenzionato insieme all'allora presidente della repubblica Antonio Segni ad impedire la riedizione del governo Moro. Nel 1977 Cossiga, allora titolare del Ministero dell'interno, risponde alle proteste studentesche mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113) nella zona universitaria; negli scontri che seguono Giorgiana Masi viene uccisa dagli spari di alcuni agenti in borghese. Una scelta, quella dei carri armati nell'università, che ha modo di rielaborare trent'anni dopo, quando suggerisce al ministro Maroni un metodo per contenere le proteste dell'Onda – il movimento studentesco del 2008 - contro la legge 133; screditare il movimento con l'infiltrazione dei provocatori e determinare così il prodursi di disordini, ''dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri''. Viene da credere che Maroni – o chi per lui - abbia raccolto il consiglio, visto l'operato dei fascisti del Blocco Studentesco e gli eventi di Piazza Navona, dove sotto gli occhi delle forze dell'ordine ad una quindicina di fascisti armati di mazze e spranghe viene permesso di pestare a sangue gli studenti in corteo. Il nostro si è spesso contraddistinto come un uomo dal pugno di ferro (armato di gomma per cancellare, aggiungiamo noi), dedito alla difesa della patria e della virtù civica; come quando nel 1992 decide di non promulgare la legge per la riforma del servizio civile in nome del “sacro dovere” di servire lo stato; la legge dovrà attendere altri 7 anni per essere approvata. Evidentemente la passione per le armi è una costante nella carriera politica di Cossiga, che a suo dire da giovane - come tutti gli altri dirigenti democristiani degli anni Cinquanta – nasconde mitragliatrici e bombe a mano per il caso in cui il PCI tentasse la presa del potere. Ma il gusto per le dichiarazioni “anticonformiste” e per la denigrazione degli avversari non lo salva nel 1991 dalla richiesta di messa in stato d'accusa per il ruolo ricoperto in Gladio, l'organizzazione clandestina promossa durante la guerra fredda dalla NATO per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto di Varsavia ai Paesi dell'Europa occidentale; Cossiga – allora Presidente della Repubblica - conferma subito le proprie responsabilità, ma il parlamento prima e la procura di Roma poi respingono le accuse in quanto “infondate”. Anni dopo, con uno dei soliti colpi di teatro, Cossiga ha modo di affermare che sarebbe giusto riconoscere il valore storico dei gladiatori così come già avvenuto per i partigiani. Forse qualche anno di vita in più avrebbe permesso a Cossiga di riabilitare, insieme agli amati gladiatori, anche i componenti della loggia massonica P2, tanto cari allo scomparso da essere scelti come membri dei due comitati di crisi nominati in occasione del sequestro di Aldo Moro. Quando viene rapito Moro Cossiga è infatti ministro dell'interno: lo circondano persone del calibro di Steve Pieczenik (lo “specialista americano” richiesto esplicitamente da Cossiga) e l'ingegner Luciani (il falso nome con cui Licio Gelli – capo della loggia P2 – partecipava alle attività del ministero). Sappiamo come andò a finire; Cossiga non si scompone nemmeno in tarda età, quando in un'intervista sostiene che con la scelta della linea della fermezza sapeva di condannare a morte lo statista democristiano. Lacrime di coccodrillo. Le stesse che vengono versate in questi giorni da quanti, a fasi alterne, si sono trovati a scontrarsi con questo “grande uomo” del nostro tempo; il debito verso Cossiga è grande e bipartisan, tanto più che da senatore a vita prima offre la stampella a D'Alema per diventare nel 1998 primo ministro, e poi, dieci anni dopo, vota la fiducia al governo Berlusconi (sostenuto peraltro già nel 1994). Il cerimoniale a cui assistiamo ed assisteremo non può ingannare nessuno; i misteri d'Italia di cui Cossiga ha sempre negato l'esistenza sono i punti di svolta attraverso i quali è stata attuata una strategia eversiva della repubblica antifascista, che sancisce oggi una “conventio ad excludendum” ben più grave di quella che ha colpito il PCI nel dopoguerra. Altro che avversario leale! Grazie a uomini come Cossiga ad essere esclusa dalla politica è la vita reale di milioni di lavoratori e lavoratrici, che della difesa della provvidenza da lui invocata per l'Italia non sanno proprio che farsene, stranieri come sono in uno stato che fa della repressione sociale la sola linea di condotta. Bene ha fatto il segretario nazionale Paolo Ferrero a riaffermare, unico fra i politici italiani, la verità storica sulla figura di Cossiga, che non ha certo combattuto per la democrazia, “ma per il sistema capitalistico occidentale”, spianando così la strada alla seconda repubblica; il nostro impegno va nella direzione opposta, nella direzione della trasformazione sociale e democratica del paese. Condividi