di Anna Maria Bruni
Continua a far tremare le vene ai polsi dei 163 lavoratori rimasti la vicenda Emicom, e per due motivi sostanziali: il primo, contingente, è che non vedono un euro di cassa integrazione da marzo scorso, ovvero da ormai quasi 4 mesi, e il secondo, strategico, che dietro la montagna di blabla e di “pacche sulle spalle” dalle Istituzioni, non c’è traccia di accordo per tornare a lavorare.
Ore 10, nella sala mensa di quella che dal 2008 si scrive Emicom mentre da fuori si continua a leggere Alnuatel, zona Maratta Bassa, è riunita una conferenza stampa piuttosto sui generis. Tavoli a ferro di cavallo, sono presenti più della metà dei lavoratori rimasti tra Terni e Massa Martana, e a chiudere il serpentone i tre sindacalisti Fiom, Fim e Uilm provinciali che seguono la vicenda. Una nuova assemblea aperta in realtà, solo che in questo modo i media sono presenti, a cominciare dal Tg3 regionale. Perché è contro l’indifferenza che prima di tutto si scagliano i lavoratori riuniti qui oggi. Sanno che è il muro di gomma contro il quale rimbalza qualsiasi richiesta di ritornare ad avere un vero sito produttivo, che potrebbe, solo a volerlo, conoscere davvero nuovi fasti, visto che siamo nel campo delle telecomunicazioni. Un campo in pieno, esponenziale sviluppo, a cominciare dalla banda larga su cui l’Italia peraltro sconta un clamoroso ritardo.
Ma ancora una volta siamo testimoni di un’impresa che procede in modo inversamente proporzionale alle sue potenzialità produttive e di sviluppo, e ancora una volta il là al passaggio dal sistema produttivo all’operazione finanziaria con staffetta lo dà la privatizzazione delle telecomunicazioni, già sofferta nel caso Telecom. E mentre in campo finanziario “pesce grande mangia pesce piccolo”, una grande impresa di 16mila (sedicimila) occupati, più l’indotto, l’Italtel gruppo IRI-Stet, con la scusa della crisi delle telecomunicazioni del ’90, che non è altro che trasformazione tecnologica radicale con l’entrata in campo della telefonia mobile e della rete a livello di massa, si svende alla Reltec, multinazionale Usa con esigenze di corto respiro in Italia. Tempo un anno e la Gec, altra multinazionale, questa volta britannica, acquista il pacchetto azionario della Reltec a scatola chiusa, ma solo perché è interessata alla piattaforma Usa. Infatti, in men che non si dica, la Gec diventa Marconi Communications, cui lo Stato, dopo la “cessione”, garantisce ancora commesse, ma a scalare. In due anni infatti, le commesse si esauriscono, e la Marconi finisce nelle mani della Viasytems, che in poco tempo diventa gruppo Elettromontaggi, con l’ennesimo passaggio di mano, e poi Emicom.
Ma due sono i particolari che vanno colti. Il primo è che quando si dice acquista, in realtà si usa un termine inesatto, perché il passaggio avviene a costo zero, fatta salva per le Istituzioni la garanzia dei posti di lavoro. Un dollaro, cioè lo stesso prezzo simbolico con cui il gruppo Omega ha comprato Eutelia. Il secondo è che in quella che è evidentemente un’operazione squisitamente finanziaria, i lavoratori da 16mila si riducono via via ai 163 che sono oggi, con dismissione dei siti produttivi, di ricerca, sviluppo, e senza alcuna attuale destinazione del sito produttivo.
Parliamo di un’operazione finanziaria in quanto i lavoratori in questi passaggi hanno subìto lo stato di crisi e la cassa integrazione a rotazione dal 2002, sono stati costretti ad accontentarsi della paga base stabilita dal contratto nazionale perché il contratto integrativo è diventato carta straccia, (leggi premi di produzione, straordinari ecc), sono andati a cercarsi altri lavori o sono andati in prepensionamento o in pensione, cioè si sono autoeliminati, mentre il fatturato dichiarato prima di Alnuatel e poi di Emicom/Terenziani, è stato rispettivamente di 16 e 4 miliardi. “Prendi i soldi e scappa”, si intitola questo film, mentre i lavoratori pagano. Anche la Cig, se fosse sfuggito, che sono soldi trattenuti dalla busta paga. L’unica differenza con Eutelia, è che qui Terenziani ha pagato (a chi è rimasto) stipendi (base) e Tfr (maturato su quello stipendio), cosa che naturalmente non farà da quando il Tribunale di Perugia ha avviato il commissariamento.
Ed è qui che entrano in gioco le Istituzioni, in rappresentanza delle quali ancora a maggio scorso, l’assessore allo sviluppo economico della regione Umberto Rossi, è intervenuto al tavolo di trattativa per valutare i piani aziendali che sembrano farsi avanti. Ma non hanno convinto i lavoratori. E c’è da credergli, se persino il Pdl riesce a stampare un “Sindaco cercasi” a caratteri cubitali, che gira per Terni senza che ancora si sia mossa foglia. “A fine dicembre 2011 fine dei giochi”, dicono, e sanno che un anno passa in un soffio. E soprattutto, sapendo quale volume produttivo e di occupati ha avuto la storia dell’azienda, lasciata sostanzialmente alla deriva, non stupisce che non si fidino. “Abbiamo bisogno di alleanze istituzionali”, dice Andrea Corpetti della Fiom di Terni insieme a Celestino Tasso della Fim-Cisl. E lo dice anche Marcello Cerquaglia, un lavoratore. Ma i toni sono diversi. Marcello è incazzato, e accanto a quella richiesta ci mette che Tererenziani va sputtanato in piazza, perché ha la destinazione d’uso del sito, potrebbe continuare produzione e manutenzione degli Shelter (le cabine per la gestione della rete Umts) di grandi dimensioni, sia militari che civili, che ha acquisito anche il territorio intorno ma che lo ha fatto diventare “balle per i cavalli”.
L’assemblea si chiude con la richiesta di un nuovo tavolo ufficiale con le Istituzioni e con i consulenti dell’azienda. “Nuovi piani ci sono - insiste Corpetti - anche le commesse, serve l’accordo”. Ma chi sono, che garanzie danno? Gli chiediamo. “Ancora non se ne può parlare”, e perché? Insistiamo. “Sono voci”. E’ questo il punto, E’ questo che non basta, ai lavoratori. E’ qui che non sentono che niente si mette di traverso a dire “di qui non passi fintanto che non firmi”. Ed è di questo che hanno bisogno, dalle Istituzioni. Per non dover dire che la modifica dell’articolo 41 della Costituzione, prima che da Tremonti e Sacconi, è maturata nei fatti.
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