Di Vitorio Bonanni
Se in Italia in questi oltre sessant’anni di vita democratica c’è stato un rispetto per i diritti umani,
per chi lavora, per chi in quanto donna ha subito per decenni una discriminazione dura a morire; e se tante altre conquiste hanno trasformato un Paese che usciva da una dittatura in uno dei più avanzati d’Europa, ebbene tutto questo lo si deve a quella Costituzione entrata in vigore nel 1948 e ora attaccata da più parti e vanificata nella prassi proprio nei suoi contenuti più alti. L’appello per il 2 giugno, che è alla base della manifestazione indetta per oggi a Milano e promossa da Acli Lombardia, Anpi nazionale, Associazione Adesso Basta, Associazione culturale Punto Rosso, Casa della Carità, Casa della Cultura, Cgil, Libera e da Libertà e Giustizia, va proprio nella direzione descritta: rinnovare l’Italia seguendo i principi della Carta Costituzionale. Su questi temi e sull’obiettivo dell’iniziativa milanese abbiamo chiesto il parere di Antonio Pizzinato, già segretario della Cgil e ora presidente di Anpi Lombardia. «Vogliamo far diventare il 2 giugno - dice l’ex sindacalista - come auspicato da vari giuristi, non solo la festa della Repubblica ma della Repubblica e della Costituzione. Poiché quest’ultima implementa i valori della Resistenza e quelle che sono le caratteristiche della Repubblica e della seconda fase dell’unità del nostro Paese. E questo è il primo obiettivo che comporta una lieve modifica costituzionale. L’altro, più immediato, è quello di operare, non solo per difendere, ma per attuare la Costituzione».
Ci sono dei punti della nostra Carta più disattesi di altri e dunque degni di maggiore attenzione?
Partirei dal secondo comma dell’articolo 3 dove si dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono appunto di attuare la Costituzione e quindi di assicurare parità di diritti e pari dignità. Indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dalla lingua e via dicendo. E questo è uno degli elementi più presenti e più sotto attacco. Negli ultimi quindici anni infatti non si è più attuato quel processo di rimozione degli ostacoli al raggiungimento di questa parità di diritti che si era realizzato nei precedenti sessant’anni, in particolare negli anni Sessanta e Settanta. Voglio fare a questo proposito degli esempi. Durante l’Autunno caldo, si è portato avanti un processo di attuazione della Costituzione per dare appunto parità di diritti a partire dalle cose più elementari. Prima che si conquistasse la legge se una donna diventava mamma veniva licenziata per maternità; lo stesso se si sposava. Nel momento stesso in cui consegnava il certificato di matrimonio l’azienda poteva licenziarla. Abbiamo fatto una battaglia e conquistato una legge. E ancora, se un operaio si ammalava i primi tre giorni non aveva nessun compenso mentre l’impiegato lo aveva. Chi lavorava come operaio in un’azienda siderurgica aveva 15 giorni di ferie, l’impiegato un mese. Un operaio che lavorava nelle acciaierie Dalmine in provincia di Bergamo rispetto a chi lavorava nelle acciaierie della Falck, che erano ad un trentina di chilometri ma in provincia di Milano, guadagnava oltre il 20% in meno perché c’erano le gabbie salariali. Abbiamo superato anche questa ingiustizia. Proseguendo su questa strada abbiamo ottenuto la giusta causa per i licenziamenti e dunque lo Statuto dei lavoratori. Prima di conquistare quelle norme, lo ricordavamo in un convegno del 20 maggio scorso realizzato a Bologna nel quarantesimo anniversario dell’approvazione dello Statuto, 620.000 lavoratori, dal 1948 al 1966, erano stati licenziati per rappresaglia politico-sindacale e senza giustificato motivo. Di questi 580.000 da aziende private e 40.000 nel settore pubblico, a partire dai partigiani cacciati dalle forze di polizia e dall’esercito nel dopoguerra. In quegli anni insomma si sono rimossi degli ostacoli e costruito una parità di diritti. Oggi abbiamo al contrario i figli o i nipoti che si ritrovano con meno diritti dei loro padri e dei loro nonni.
Possiamo dire che senza modificare la Costituzione la si è modificata di fatto con altri atti o semplicemente non applicandola…
Si va più in là: con il decreto lavoro, attualmente in discussione, non solo si mettono in dubbio i principi della Costituzione, non solo si vuole cancellare lo Statuto dei diritti dei lavoratori conquistato dopo 25 anni dalla Liberazione - 20 maggio 1970 - ma anche dei principi conquistati precedentemente, come i contratti di lavoro, il diritto al collocamento, tanto per fare degli esempi. Nel momento in cui si dice che prima di essere assunto devo firmare una dichiarazione dove dico che non farò riferimento al contratto collettivo, che non ricorrerò in via giuridica per far valere i miei diritti, in un’Italia in cui oltre il 50% di chi lavora opera in luoghi di lavoro come dipendente, significa negare anche i più elementari diritti contrattuali. Questo governo sta tentando in tutti i modi, malgrado il Presidente della Repubblica abbia rinviato in Parlamento il testo che era stato approvato dalla maggioranza, di mantenere questa impostazione anche con gli emendamenti proposti da un deputato del Pdl. L’altro aspetto è di fatto la messa in discussione dei valori della Costituzione.
Per esempio?
L’articolo 1 riconosce che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso il voto. Ma con le leggi elettorali che sono state approvate e senza modificare la Costituzione gli italiani non scelgono più chi li rappresenta. Sono le segreterie dei partiti a scegliere attraverso le liste bloccate. Nel momento in cui si adottano misure come quelle ipotizzate nei giorni scorsi, a fronte dei problemi della crisi, si mette in discussione uno dei principi che è quello del ruolo che, nella propria autonomia, hanno le regioni, i comuni e le province. Senza modificarla, insomma, la Costituzione è già stata in tanta parte messa in discussione nei suoi valori fondamentali che garantiscono la coesione sociale, la solidarietà e l’eguaglianza dei diritti.
Senza contare il tentativo di imbavagliare l’informazione la cui libertà è garantita dall’articolo 21 della nostra massima legge….
L’informazione libera certo. Ma anche l’istruzione è un settore a rischio. Basti pensare che non si fa la formazione della storia contemporanea, e quindi questa materia non si insegna nelle scuole pubbliche. Dunque l’obiettivo della manifestazione di domani (oggi per chi legge ndr) è triplice: come abbiamo detto trasformare la festa della Repubblica anche in festa della Costituzione. Attuarla questa Carta costituzionale in tutti i suoi punti e naturalmente difenderla dai numerosi attacchi che arrivano ormai da molti anni dal Governo e dal Parlamento.
Dal sito liberazione.it
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