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di Fulvio Lo Cicero Fra i misteri d’Italia, l’abbattimento del DC9 dell’Itavia con i suoi 81 poveri morti rimane il più enigmatico. A trent’anni da quei tragici fatti ricostruiamo le ipotesi investigative, le sentenze, la verità giudiziaria che non ha dato giustizia a 13 bambini e a 68 adulti morti sulla rotta delle vacanze Ci sono dossier illegali, servizi deviati, uomini scomparsi senza che si sia mai ritrovato il corpo, legami indicibili, assassini. E poi ci sono le stragi, per molte delle quali è uscita fuori una verità credibile. Ma quella avvenuta nello spazio aereo fra due isole, Ustica e Ponza, che ha spezzato la vita di ottantuno persone innocenti, che solo un attimo prima di inabissarsi scherzavano ed erano felici per le ferie appena iniziate, rimane tuttora probabilmente la vicenda più vergognosa e fitta di mistero della storia criminale del nostro Paese. Una vicenda per la quale non ci sarà mai la parola “fine” e quei morti, oramai dissolti dall’acqua del Tirreno, rimarranno a vagare come fantasmi nelle nostre coscienze. La partenza, la scomparsa Possiamo immaginare la partenza del DC9. Anzi, possiamo proprio vederla in un bellissimo film, per la regia di Marco Risi, che ha ricostruito tutta la vicenda (“Muro di gomma”, 1991). Bambini e genitori che scherzano, l’attesa di due ore per l’imbarco, l’ansia per le vacanze imminenti. Il velivolo è infatti diretto in Sicilia, Palermo. È il classico aereo delle vacanze, delle spiagge tanto desiderate, delle ferie estive. All’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, il comandante Domenico Gatti (44 anni, laureato in ingegneria, con 7429 ore e 23 minuti di volo) decolla alle 20.08, dopo due ore di attesa, non infrequenti negli aeroporti italiani. Passano 51 minuti e 45 secondi e dall’aeroporto romano di Ciampino del DC9, matricola I-TIGI, nominativo radio IH-870, in volo a 25.000 piedi lungo l’aviovia Ambra 13, con 77 passeggeri e 4 persone di equipaggio, si perde qualsiasi traccia. Dopo un quarto d’ora avrebbe dovuto atterrare a Punta Raisi, essendo sopra le acque di Ustica. Gli operatori della torre di controllo romana chiamano ripetutamente il comandante Gatti, ricevendo però soltanto un significativo silenzio. Il mare, una tomba La mattina successiva, alle 7,25, un elicottero individua una grande macchia nera sul mare. Quattro ore più tardi, l’incrociatore della Marina militare Andrea Doria scopre i primi cadaveri che galleggiano. Iniziano le operazioni di recupero, che troveranno soltanto 39 salme sugli 81 uomini e donne che occupavano il velivolo. Pasquale Diodato, muratore siciliano, ha trascorso la notte insonne. Gli hanno telefonato da Palermo, i suoceri allarmatissimi perché non si sa più nulla dell’aereo dove viaggiavano la moglie, Giovanna Lupo e i figli: Antonella, Vincenzo e Giuseppe (quest’ultimo ha soltanto dieci mesi). La tragedia li inghiottirà inesorabilmente. «Li ho messi sull’aereo, ci siamo salutati. La mia era una famiglia allegra. Ricordo ogni sguardo, ogni frase, ogni piccolo dettaglio. Mi sono sistemato in macchina. All’ora dell’incidente ho sentito una fitta, un cazzotto allo stomaco. Sì, lo so che può sembrare incredibile, però è andata così. Me la sono presa con me stesso: Lino, che vai a pensare» confessa ora al quotidiano on-line “Live Sicilia” ed osserva la foto della sua dissolta famiglia. Le tracce, i depistaggi Nel più puro stile italiano delle stragi, già il giorno dopo iniziano le grandi manovre di depistaggio, che saranno numerosissime. Una telefonata anonima al “Corriere della sera” a nome dei Nar annuncia che la caduta dell’aereo è stata dovuta ad una bomba che il terrorista nero Marco Affatigato portava con sé. Affatigato è un ordinovista (l’organizzazione creata da Pierluigi Concutelli, pluriomicida, oggi redento ma ancora all’ergastolo) molto noto alle cronache, in contatto con i servizi francesi e italiani, ma la notizia è falsa ed è lo stesso fascista a manifestarsi con i suoi familiari, smentendo di essere morto. La sera stessa si fa arrestare, intuendo il pericolo mortale che sta correndo. L’operazione potrebbe essere stata messa in moto dai servizi segreti francesi per coprire un coinvolgimento dell’aviazione del loro Paese. Affatigato sarebbe stato eliminato e il cadavere trasportato nel pezzo di mare dove era caduto il DC9. Intanto, le prime ipotesi che si formulano sul disastro aereo propendono per il cedimento strutturale. È quella classica per ogni fatto come questo, unitamente all’errore umano. Ma i dubbi emergono subito. Non crede per niente a questa ipotesi Pietro Greci, funzionario addetto al traffico all’aeroporto di Punta Raisi: «Il comandante Gatti, un pilota molto esperto, alle 20.57 comunica la sua posizione, che è a 90 miglia a nord di Palermo. Subito dopo il beep del collegamento termina e inizia il silenzio» ragiona Greci ed aggiunge: «Il comandante non ebbe tempo nemmeno di lanciare un “mayday”, se pure l’aereo avesse avuto un problema strutturale, l’Sos sarebbe stato lanciato. Non ci fu nulla del genere, il che dimostra la fondatezza dell’ipotesi di una deflagrazione improvvisa». Non crede al cedimento strutturale nemmeno Andrea Purgatori, inviato del “Corriere della Sera”, che inizia una sua personalissima battaglia per la verità che lo porterà a diventare, ben presto, uno dei principali artefici della denuncia sui depistaggi e sul “muro di gomma”. L’Inchiesta e i militari coinvolti La Procura di Roma riceve il fascicolo da quella palermitana, perché il codice della navigazione assegna la competenza al giudice del luogo dove l’aeromobile è stato immatricolato, che viene affidato al pm Giorgio Santacroce. Ma, nonostante venti anni di indagini, una mole enorme di documenti accumulati, che si riassumono nel loro numero di pagine, due milioni, oltre trecento udienze processuali, oggi gli 81 cadaveri non hanno un assassino individuato. I livelli militari entrano più volte nel mirino della magistratura. A poco a poco, ci si convince che la vera causa del disastro sia stato un missile, che ha colpito, deliberatamente o meno, la carlinga del DC9. John Macidull, un esperto americano del “National Transportation Safety Board”, già il 25 novembre del 1980, analizzando i tracciati dei radar di Ciampino, si convince che, al momento del disastro, accanto al DC9 volasse un altro aereo. Dai radar risulta che questo velivolo attraversa la zona dell’incidente da Ovest verso Est a fortissima velocità. Secondo Macidull, il DC9 sarebbe stato colpito da un missile lanciato da questo secondo aereo. L’ipotesi del missile prende sempre più quota e la magistratura imbocca questa strada. D’altronde sono sempre più evidenti le reticenze opposte dai vertici dell’Aeronautica militare italiana, come se vi fossero “ordini superiori” per nascondere una verità scomoda. È proprio quanto denuncia, in una clamorosa telefonata in diretta a “Telefono giallo”, il popolare programma televisivo condotto da Corrado Augias nel 1988, un aviere in servizio a Marsala la sera della tragedia: «Noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda. La verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti». Le registrazioni delle torri di controllo di Ciampino e Grosseto dimostrano come gli operatori, quella sera, parlassero chiaramente della presenza di altri aerei sulla rotta del DC9 delle vacanze. Il 16 marzo 1982, il resoconto della Commissione ministeriale di inchiesta denuncia con certezza la presenza di un aereo non identificato accanto al DC9. Nel luglio dello stesso anno, John Transue, esperto del Pentagono, in una trasmissione della Bbc, afferma che questo aereo potrebbe essere un Mig libico. A proposito di quest’ultima eventualità, non bisogna dimenticare che il 18 luglio 1980, sulle montagne della Sila, in Calabria, furono ritrovati i resti di un Mig libico. Il corpo del pilota era in avanzato stato di decomposizione e potrebbe essere precipitato proprio in coincidenza con il disastro di Ustica. Il 31 marzo del 1987, viene trovato impiccato, sul greto del fiume Ombrone, il maresciallo dell’Aeronautica Mario Alberto Dettori. La sera dell’incidente controllava la difesa aerea a Poggio Ballone. Alla moglie aveva confidato: «Stanotte è successo un casino, qui vanno tutti in galera, l’aereo di Ustica, c’è di mezzo Gheddafi». Un altro maresciallo, Franco Parisi, il quale aveva fornito una testimonianza ampiamente contraddittoria, anche lui si suicida nel 1995. in entrambi i casi, gli inquirenti definiscono i suicidi “anomali”. La pista libica Gli elementi che sembrano certi sono: 1) il DC9 fu abbattuto improvvisamente da un missile; 2) il Mig libico trovato in Calabria non poteva volare sullo spazio aereo italiano; 3) la notte della strage, la portaerei americana Saratoga lasciò il porto di Napoli per esercitazioni in mare aperto (fatto che sarà negato dal comandante della nave James H. Flatlely); il 28 giugno piombò precipitosamente sulla portaerei un alto ufficiale della VI flotta e sequestrò tutte le registrazioni effettuate nella notte; 4) tracce del serbatoio di un Phantom americano sono trovare sui resti del DC9, che nel frattempo è stato con difficoltà recuperato dai fondali per volontà del Governo italiano; 5) l’analisi compiuta sul pavimento del velivolo dopo il suo recupero mostrano come la moquette sia stata tranciata di netto; potrebbe essere la prova dell’entrata di un missile nella carlinga con effetti devastanti. La verità indicibile Dagli elementi sintetizzati emergerebbe che il DC9 sarebbe stato abbattuto perché si trovò sfortunatamente al centro di una vera e propria battaglia aerea fra velivoli italiani, libici, francesi e americani. È quanto affermano le motivazioni del rinvio a giudizio (31 agosto 1999) dei generali italiani, accusati di alto tradimento, formulate dal giudice Rosario Priore e dirette contro “ignoti”. Nel 2003, il colonnello Muhammad Al Gheddafi afferma che il DC9 fu abbattuto perché gli americani ritenevano che vi fosse lui a bordo. Nel 2007, la Cassazione conferma le assoluzioni già formulate dalla Corte di appello per i generali dell’Aeronautica accusati di alto tradimento (poi derubricata in semplice turbativa). Anche Francesco Cossiga, all’epoca primo ministro, ora si dice convinto che l’aereo sia stato abbattuto da un missile francese. Peccato che in tutti questi anni, deponendo ai tanti processi, abbia tenuto la bocca rigorosamente chiusa, nel tradizionale stile omertoso democristiano, e l’abbia riaperta soltanto dopo che i militari inquisiti l’hanno fatta franca. La parola fine, in sede di giurisdizione civile, si ha qualche giorno fa: il 15 giugno i giudici di Palermo hanno condannato i ministeri dei trasporti, della difesa e degli interni a risarcire per 1,24 miliardi di euro i familiari delle 81 vittime. Avranno dei soldi ma non sapranno mai chi maledire. Condividi