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TORINO - La disfatta azzurra ai Mondiali e' sicuramente grave, ma i suoi effetti sono stati amplificati dal risultato negativo: se infatti l'Italia avesse passato il turno giocando malissimo e con fortuna, probabilmente le critiche sarebbero state meno feroci. E' la sintesi del pensiero di Paolo Sollier, un calciatore storicamente anomalo, sia perche' aveva dichiarato pubblicamente la propria fede politica (militava nella sinistra estrema), sia perche' aveva scritto un libro che aveva fatto epoca, ''Calci e sputi e colpi di testa'', che sfidava il tabu' della sacralita' dello spogliatoio, raccontando i retroscena delle partite di calcio viste dall'interno da un calciatore professionista (Sollier gioco' nel Perugia-miracolo della stagione '75-76). ''E' una questione di cicli - spiega Sollier - ne' piu' ne' meno di quanto e' successo tante altre volte, a cominciare dalla celebre sconfitta con la Corea. Oggi le prime squadre del campionato italiano sono zeppe di stranieri, ma anche ai miei tempi c'era la stessa polemica, infatti si chiusero le porte per qualche stagione. Oggi la comunicazione e' molto piu' estesa di 30 anni fa e quindi tutto si amplifica, tutto diventa scandalo e dramma. Certamente, non ci siamo fatti trovare preparati nel passaggio tra un ciclo, quello vincente del 2006, e oggi, ma i problemi erano gli stessi anche quattro anni fa''. ''Semmai - aggiunge - e' stato commesso l'errore di non lasciare lavorare Donadoni, che qualche frutto stava cominciando a raccogliere nella sua politica di rinnovamento. Forse e' stato rimosso perche' era stato messo li' dal commissario straordinario Guido Rossi? E anche Lippi, che e' un allenatore bravissimo, ha commesso il suo, quello di tornare a guidare la Nazionale. Quando si comincia a manifestare anche solo una crepa - diceva il mio amico Renzo Ulivieri - parte il processo disgregativo e non lo fermi piu'. Le componenti di un insuccesso pero' sono molteplici, da quelle tecniche a quelle gestionali e politiche''. E qui il discorso si allarga inevitabilmente alle caratteristiche sociali e culturali dello sport in Italia, in particolare il calcio: ''Siamo il paese che ha il grado piu' basso di civilta' sportiva. Sono tornato allo stadio di recente, ma non ci andro' piu', perche' e' assurdo che ti perquisiscano per entrare. La nostra sfida deve ripartire di li', togliere gli stadi dalle grinfie dei gruppi ultra' e restituirli alla gente. Se arriviamo a togliere le recinzioni dallo stadio, sara' un passo importante''. Ma non basta: e' la cultura sportiva che manca. ''Infatti si continuano a formare i ragazzi con il concetto di 'dover essere', di effettuare un addestramento per raggiungere determinati obiettivi, mentre quello principale dovrebbe essere il divertimento. Cosi' si ammazza la creativita' e infatti i risultati si vedono. La Federazione ha pesanti responsabilita' in merito, per la mentalita' del risultato a tutti i costi, anche se da un paio d'anni sta sperimentando tornei con lo spirito dello sport come benessere. Si deve tornare al concetto dei miei tempi: i settori giovanili devono servire a migliorare e non a ottenere risultati sportivi''. Una piccola pillola di consolazione finale: ''Nel mondo della globalizzazione si diffonde purtroppo il concetto di risultato a ogni costo anche all'estero: oggi molti paesi, sotto qualsiasi latitudine, sono condizionati da questo fattore. La Francia, che era la terra dei settori giovanili per eccellenza, e' solo l'ultimo esempio''. Condividi