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(di Patrizia Sessa) (ANSA) - NAPOLI - Si difende l'arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, e lo fa, come aveva detto, rivolgendosi alla citta', ai fedeli. Arriva all'incontro con la stampa e legge una lettera, dove parla di tutto: di Bertolaso, di Lunardi, di Silvano. Di chi lo ha voluto colpire, ''fuori e dentro la Chiesa'', e che lui perdona. ''Ho fatto tutto nella massima trasparenza, ho sempre agito avendo come unico obiettivo il bene della Chiesa'', dice. E poi precisa: ''Ho avuto i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli affari economici e dalla Segreteria di Stato'' della Santa Sede. ''Accetto la croce'', aggiunge Sepe. Del resto si dice convinto di un fatto: ''Da questa inattesa prova usciremo tutti piu' forti''. Poi risponde alle accuse, ai ''tre addebiti che mi vengono fatti per la responsabilita' che ho avuto in quanto Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide''. Inizia da Bertolaso e chiama in causa Francesco Silvano, manager piemontese 76enne, gia' amministratore dell'ospedale Bambin Gesu' e suo stretto collaboratore, prima durante il Giubileo e poi a Propaganda Fide, da due anni economo della diocesi di Napoli. ''L'esigenza della concessione di un alloggio al dott. Guido Bertolaso mi venne rappresentata da Francesco Silvano'', precisa. ''Gli feci avere ospitalita' presso il Seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilita' degli orari, per cui incaricai lo stesso dott. Silvano di trovare altra soluzione - spiega - della quale non mi sono piu' occupato, ne' sono venuto a conoscenza, sia in ordine alla ubicazione e sia in ordine alle intese e alle modalita'''. Poi il cardinale parla della vendita all'ex ministro Pietro Lunardi di un palazzetto in via dei Prefetti, a Roma: ''un immobile che presentava in maniera evidente e seria, segni di vecchiaia e di precarieta', rappresentata piu' volte anche dagli stessi inquilini''. E il cui prezzo di vendita, insiste la difesa e lo stesso Sepe, basso proprio in virtu' delle condizioni, fu determinato quando ''non era stata concretizzata alcuna offerta di acquisto''. ''Solo successivamente - spiega - mi fu riferito che l'onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse all'acquisto e fu avviata una trattativa che si concluse sulla base della valutazione fatta e di quella che si aggiunse attraverso il coinvolgimento di un istituto di credito, per la concessione di un mutuo''. ''La somma, incassata peraltro immediatamente - aggiunge - venne trasferita all'Amministrazione patrimonio Sede Apostolica perche' fosse destinata a tutta l'attivita' missionaria nel mondo''. Terza questione: i lavori di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna. ''Fu accertata la competenza dello Stato italiano e furono eseguiti lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione''. Tutte attivita' nelle quali ''mi sono sempre avvalso della consulenza specifica di tre persone: il dott. De Lise, magistrato; il dott. Balducci, all'epoca provveditore alle opere pubbliche del Lazio; il dott. Silvano''. Legge la lettera in maniera tranquilla, Sepe. E proprio in quei momenti chiama qualcuno da Palazzo Chigi. C'e' un unico punto in cui va a braccio: e' quello in cui parla di Papa Benedetto XVI e di quando ''mi chiese con una certa insistenza di rimanere a Roma''. ''Si indicava il mio nome per Napoli e mi chiedeva che ne pensassi - ha raccontato -. Chiesi un po' di tempo per riflettere e poi diedi la mia risposta 'Santita', il mio cuore gia' batte per Napoli' ''. Termina la lettura e Sepe precisa: ''Questa non e' una conferenza stampa''. Come a dire, nessuna domanda. Ad una, a margine, risponde. A chi gli chiede se il Vaticano gli sia vicino, dice di si'. Poi gli viene chiesto come abbia letto le parole pronunciate ieri dal papa Benedetto XVI, su chi usa il sacerdozio per potere e prestigio personale. Sepe questa volta non risponde. Uno sguardo veloce e poi: incontro finito. Condividi