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Associazione rete delle donne AntiViolenza – onlus La riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato alle Regioni compiti sempre più ampi di autonomia e di responsabilità dirette in settori particolarmente importanti per la vita dei cittadini e delle cittadine. La tutela della salute, ed in particolare la cura della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, è senza dubbio uno di questi. Ma come succede spesso in Italia, affrontare il dibattito su temi così importanti porta quasi inevitabilmente a rimettere in discussione anche quanto si dava per acquisito, impedendo così di progredire sulla strada della garanzia dei diritti delle persone e del soddisfacimento di nuovi bisogni. Così la discussione che si è avviata intorno all'introduzione della pillola Ru486 ha riaperto un confronto (più spesso uno scontro) sulla questione dell'aborto garantito dalla legge 194, mai del tutto applicata nelle sue articolazioni, anzi sempre sotto attacco, e oggi più che mai, a partire dalla cosiddetta obiezione di coscienza, garantita a ginecologi e ginecologhe che si sottraggono al dettato legislativo, impedendo in molti casi che il diritto delle donne all'autodeterminazione, in termini di maternità consapevole, venga pienamente soddisfatto e garantito. In Umbria una donna che chiede un' interruzione volontaria della gravidanza (IVG) in media aspetta 3 o 4 settimane, e questo perché sono solo 2 su 10 gli operatori della sanità (ginecologhe/i, ostetriche, infermiere/i professionali) che si occupano di questo problema, essendo circa l’80% del personale medico obiettore di coscienza. Nessuna/o nega a nessuna/o il rispetto per le particolari visioni etiche e/o religiose che attraversano anche sessualità e procreazione, ma ugualmente si può obiettare che la scelta di mettersi al servizio della salute delle persone e, nel caso delle donne, della loro possibilità di venire assistite secondo le loro concrete intenzioni ed esplicite volontà, nello specifico delle gravidanze e dei loro esiti, deve tenere conto dell'ambito sociopolitico in cui si andrà ad operare. In parole più povere: perché scegliere di specializzarsi in ginecologia se non si intende ottemperare ad un obbligo di legge, confermato da un referendum popolare, che – numeri alla mano – ha salvato e salva migliaia di donne dalla piaga degli aborti clandestini, che oggi colpiscono ancora, e soprattutto le donne immigrate? Nel 2008 le IVG in Umbria sono state 1919, di queste circa il 40% riguardavano donne di altre nazionalità, ma sappiamo che una percentuale ancora alta non trova modo di usufruire dei servizi sanitari, essendo venuto meno negli anni un impegno serio e capillare di informazione, anche sul piano della prevenzione (a quando i contraccettivi gratuiti?), dell'adeguamento delle strutture, nonché sulla formazione degli operatori e delle operatrici dei consultori e degli ambulatori socio-sanitari, e sull'inserimento indispensabile di mediatrici culturali. E perché – ritornando al tema della Ru486 – si fa tanto rumore intorno all'introduzione di una pratica, usata da anni in tutta Europa, che limita gli interventi chirurgici in tema di aborti, e consente al loro posto un'alternativa medica, certo da scegliere e considerare con attenzione, ma certamente meno invasiva? Ricordiamo che in Francia ed in Belgio “l'aborto medico” da anni viene praticato a domicilio dai medici di famiglia che hanno svolto formazione adeguata e sono in contatto continuo con gli Ospedali per i casi di necessità. Sappiamo che la nuova Giunta Regionale ha voluto subito attivare un tavolo tecnico che sta completando il lavoro di redazione dei protocolli e delle procedure per l’uso della Ru486 e auspichiamo che si procederà, secondo gli orientamenti condivisi dalle Direzioni delle ASL umbre, nel senso di un regime di ricovero in day-hospital, evitando i ricoveri coatti previsti dalle nuove disposizioni ministeriali. Auspichiamo inoltre che le donne non debbano ancora per lungo tempo “emigrare” in altre regioni, per usufruire del farmaco e ci auguriamo soprattutto che sul corpo delle donne non si stipuli nessun patto politico, nessuna mediazione che scavalchi quello che deve rimanere l'obiettivo principale delle istituzioni politiche ed amministrative: saper accogliere i bisogni e le istanze che vengono dal mondo femminile (e non solo!), per dare risposte sanitarie e sociali adeguate alla domanda di autodeterminazione e rispetto delle sofferenze delle donne, che non hanno bisogno di ulteriori tutele se non quelle che la legge già prevede per loro. Vorremmo che in Umbria si tornasse a ragionare sullo scontro politico e culturale che si svolge sul corpo delle donne, non solo in occasione di interventi da parte della magistratura, come in questi giorni per il caso di Castiglion del lago, per il quale le indagini dovranno accertare le responsabilità, senza che questo divenga pretesto per un un attacco alle già esigue forze di chi si occupa da anni della 194. Siamo pronte a mobilitarci e lottare perché né Forum delle famiglie (come è deplorevolmente avvenuto per la “Disposizione per la promozione e la tutela della famiglia”di recente approvazione) né l'Udc di Binetti possano intralciare un percorso già colpevolmente in ritardo rispetto alla qualità di interventi richiesta ad una società di democrazia matura e, in particolare, ad una Regione come la nostra che deve affrontare senza ulteriori indugi una situazione già troppo compromessa. Condividi