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Una manovra che, come sottolineato dagli economisti de “lavoce.info”, fonda i suoi risparmi di spesa solamente nell’aver affondato pesantemente le mani nelle tasche di alcuni italiani, naturalmente i meno ricchi o, se volete, i più poveri. Con la lettura dei 54 articoli del decreto legge, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il quadro è ancora peggiore di tutte le indiscrezioni circolate nel frattempo. Tutti i costi della politica – che ipocritamente il Governo aveva detto di voler tagliare – rimangono quali sono perché soltanto fra tre anni (Senato e Camera), fra quattro (Europarlamento) e addirittura fra cinque (Consigli regionali) si avrà un minitaglio mentre per gli statali, che incassano un decimo dello stipendio e diaria di un parlamentare, i sacrifici saranno immediati. Il taglio delle province, nonostante i proclami tremontiani, non c’è stato. Insomma, siamo all’iniquità allo stato puro, a un provvedimento che nemmeno un regime sudamericano degli anni Sessanta del secolo scorso avrebbe preso, pur avendo, come unico interesse, la prioritaria tutela delle rendite dei latifondisti. Intanto, secondo un sondaggio Demos per "Repubblica" soltanto quattro elettori su dieci danno la sufficienza all'azione di governo del premier. Soltanto il 43% giudica positivamente il suo Esecutivo, ben 7 punti in meno rispetto ad un solo mese fa. I dati confermano, dunque, quelli dell'Ipsos di Pagnoncelli, attaccati in diretta da Berlusconi a "Ballarò". Una manovra di tasse “occulte” Secondo Tito Boeri e Massimo Bordignon, del sito “lavoce.info”, il 40% della manovra è incentrato su maggiori entrate e più del 70% da riduzioni lineari delle spese dei ministeri o dei trasferimenti agli enti locali, senza alcuna misura strutturale, in grado di fornire un risparmio sui costi durevole nel tempo. Da questo punto di vista, non sarà mai sufficiente spiegare ai telespettatori del TG1 e TG5 (i quali, se si informano solo grazie ai loro “notiziari”, penseranno sempre che non sono state introdotte nuove tasse) che una riduzione dei trasferimenti agli enti locali non può che produrre un aumento del livello di imposte e tasse, ovvero mettere le mani nelle tasche degli italiani. Nei prossimi mesi gli italiani potrebbero essere costretti a pagare una maggiore Irpef comunale o regionale, o vedranno lievitare la retta per la scuola materna dei figli. Il Governo più "federalista" della storia repubblicana ha introdotto un mastodontico taglio ai trasferimenti verso le Regioni, pari a circa 8,5 miliardi da qui al 2013, il che rappresenta oltre il 60% della riduzione di spesa prevista. «Come questi enti territoriali potranno gestire riduzioni così imponenti non è chiaro», commentano Boeri e Bordignon. Secondo l’ufficio studi degli artigiani di Mestre (Cgia), a pagare le conseguenze maggiori della manovra saranno le regioni del Nord a statuto speciale (Valle d’Aosta, Trentino, Friuli Venezia Giulia), con un costo pro-capite di 290 euro e per quelle meridionali a statuto ordinario, dove il costo pro-capite sarà di 211 euro. Si tratta «di una manovra visibilmente improvvisata», scrivono ancora gli economisti de “lavoce.info”, «che bada a esibire grandi numeri per offrire un quadro macro rassicurante» ma a pagare sono solo «i pochi, i soliti», con un peso preponderante attribuito ai giovani, «colpiti dal taglio dei contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni e delle carriere nel pubblico impiego», così che «non una, ma due mani, vengono messe nella tasche dei giovani». Un conto preciso, che rende bene l’idea della “macelleria sociale” tremontiana, per quanto limitato alla sola Regione Umbria, viene fatto da Stefano Vinti, assessore ai lavori pubblici e alle infrastrutture: «Vengono tagliate risorse essenziali per servizi importanti: circa 29 milioni di euro per la viabilità; oltre 40 milioni per il trasporto pubblico locale; 12 milioni per gli incentivi alle imprese; 6 milioni per l'agricoltura; 7 milioni per le politiche ambientali; 20 milioni per l'edilizia residenziale pubblica, che significa azzerare ogni intervento per l'edilizia sociale, causando un drammatico deficit di offerta di residenze per i ceti più bisognosi e un ulteriore aggravio per le imprese del settore». I farmacisti: uno su quattro a rischio chiusura. I magistrati scioperano Durante la conferenza stampa di presentazione del decreto contenente la manovra economica, Giulio Tremonti, ad una precisa domanda di un giornalista, aveva testualmente detto che la sanità era materia del tutto assente dal provvedimento. Naturalmente non era vero. L’articolo 11 si intitola, per l’appunto: “Controllo della spesa sanitaria” e prevede uno sconto obbligatorio del 3,65% del prezzo dei farmaci di fascia A e uno del 12,5% sui farmaci a brevetto scaduto, cioè i generici. Secondo i rappresentanti di “Federfarma”, un provvedimento del genere rischia di far chiudere i battenti ad una farmacia su quattro, soprattutto quelle presenti nelle zone rurali. «Non si comprende come mai la manovra non incida minimamente su quelli che sono i veri sprechi del sistema farmaceutico, ovvero la spesa farmaceutica ospedaliera, che ha superato del 72% nell'ultimo anno il tetto previsto», spiega Franco Caprino, presidente di Federfarma del Lazio. Intanto l'Anm e tutte le magistrature hanno proclamato una giornata di sciopero contro la manovra economica. Tempi e modalità saranno stabilite sabato dal parlamentino del sindacato dei magistrati. Modifiche anche dalla maggioranza Già ampiamente modificata rispetto agli intenti iniziali, sicuramente il provvedimento tremontiano non rimarrà lo stesso dopo la conversione in legge in Parlamento. Secondo il ministro degli interni Roberto Maroni «confidiamo nella saggezza del Parlamento», mentre il finiano Antonio Baldassarri, presidente della Commissione finanze del Senato, afferma che sono necessari altri 10 miliardi di tagli della spesa da destinare allo sviluppo, parte dei quali potrebbero risultare dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti. Condividi