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Martedì scorso 25 marzo, con grande enfasi su giornali e tv nazionali, il candidato Veltroni, seguito a ruota dal candidato Berlusconi, ha lanciato la sua proposta di intervento sulle pensioni. Il fatto che si parli di pensioni e che il candidato premier del PD avanzi proposte e prenda impegni a favore dei pensionati, è sicuramente un fatto positivo, ci mancherebbe, che per altro testimonia il riconoscimento di una oggettiva e crescente situazione di difficoltà di una parte importante e non secondaria della società italiana. Ma, prima domanda, come mai si è dovuto aspettare il 25 marzo per conoscere il pensiero del PD sulle pensioni, atteso che alla questione pensioni/previdenza non si fa alcun cenno nel programma di governo presentato e depositato dallo stesso PD? Sospetto: che si tratti di una mossa tutta propagandistica, come quella del milione al mese di berlusconiana memoria? Ma andiamo avanti. Le proposte avanzate da Veltroni sono sostanzialmente due. La prima prevede, agendo attraverso il sistema di detrazioni fiscali, di assicurare, a partire dal primo luglio 2008, ai pensionati oltre i 65 anni un incremento di 400 euro l’anno per le pensioni fino a 25.000 euro, ed un incremento compreso tra i 250 ed i 100 euro per pensioni di importo tra i 25.000 ed i 55.000 euro. In buona sostanza la proposta non fa altro che riproporre un provvedimento preso (su forte sollecitazione delle forze della Sinistra e l’Arcobaleno) dal governo Prodi, la cosiddetta “quattordicesima” ma limitato a pensioni con importo pari ad una volta e mezzo il minimo, ovvero 8.675 euro l’anno. L’intervento proposto da Veltroni allarga la platea dei beneficiari, facendo sì che un pensionato con 3.000 euro di pensione mensile possa godere di un incremento medio mensile di ben 10 euro!! Forse sarebbe più conveniente concentrare l’intervento sulle fasce di pensione medio basse, piuttosto che spalmare a pioggia. Il costo dell’intervento proposto da Veltroni si cifrerebbe in 2,5 miliardi di euro l’anno. Ammesso che il costo dell’intervento sia questo e che si aggiunge al miliardo di euro previsti per l’intervento già varato dal governo Prodi, come si concilia questo incremento di spesa (di cui ripetiamo non c’è traccia nel programma del PD) con la rigorosa politica di tagli alla spesa, quella sì indicata nel programma di governo del PD, che dovrebbe fruttare in due anni e mezzo risparmi per 40 miliardi di euro, al fine di consentire il pareggio di bilancio entro il 2011? Se poi si va a vedere come si intende operare questo taglio di spesa pubblica, le indicazioni sono così general generiche, da far supporre che, se si volesse realmente realizzare quella entità di risparmi di spesa, i capitoli da aggredire sarebbero ben altri, e cioè sanità scuola, previdenza. D’altro canto a spiegarci che sarà così è proprio un autorevole “pensatore” del PD, Michele Salvati, quando afferma: “si prevedono risparmi di spesa un po’ ottimistici e molte cose scritte si potranno ottenere solo con risparmi di spesa spaventosi come quelli che si otterrebbero spostando in avanti l’età pensionabile”. E allora c’è veramente l’impegno ad aumentare le pensioni o è un trucco elettorale? Ma ancora. Se c’era questa volontà di innalzare le pensioni perché il PD, visto che era maggioranza nel governo Prodi, non lo ha fatto prima aumentando le detrazioni fiscali per pensionati e lavoratori dipendenti? La domanda non è retorica in quanto fa riferimento alla questione dell’utilizzo del cosiddetto extragettitto (8/9 miliardi di euro) e all’impegno, strappato dalla Sinistra l’Arcobaleno, in Finanziaria 2008 (il famoso articolo 4) di destinare l’extragettito accertato dalla relazione trimestrale di cassa di marzo al fine di incrementare le detrazioni fiscali a favore di pensionati e lavoratori dipendenti. La Sinistra e l’Arcobaleno hanno proposto che, attraverso un decreto legge, si procedesse subito all’incremento delle detrazioni fiscali per pensionati (quello che oggi propone Veltroni) e per i lavoratori dipendenti, ma questa soluzione è stata respinta sdegnosamente da tutti i ministri del PD, da prodi e dal Ministro dell’Economia. Domanda, perché fare domani (a patto che si vincano le elezioni) quello che si poteva fare oggi a vantaggio di lavoratori e pensionati? Perché affidare al prossimo governo la decisione di come utilizzare quelle risorse aggiuntive entrate nelle casse dello stato grazie alla lotta all’evasione fiscale, portata avanti in particolare dal viceministro Visco, che il PD, con grande sollievo del candidato Calearo (vedi dichiarazioni alla trasmissione Ballarò), si guarda bene dal ricandidare? Ma la parte più preoccupante, in omaggio al detto che il veleno sta sempre nella coda, è contenuta nella seconda proposta, laddove si prevede di modificare l’attuale meccanismo di indicizzazione delle pensioni, in particolare legando le pensioni calcolate con il metodo contributivo (per intenderci le pensioni post riforma Dini) all’andamento di un indice di sostenibilità dato dal rapporto tra spesa pensionistica e monte dei redditi da lavoro. Già l’utilizzo dell’espressione sostenibilità fa venire l’orticaria, perché l’argomento della sostenibilità (finanziaria) è quello tradizionalmente utilizzato da coloro che, in nome appunto della sostenibilità, vogliono ridurre le prestazioni previdenziali. Ma in questo caso la formula contiene una insidia in più. Cosa vuol dire legare le pensioni al monte salari? Tutti sanno, i giornali ne hanno parlato in abbondanza, che in questi anni il monte salari in rapporto al PIL è progressivamente diminuito; ne consegue che con un tale meccanismo le pensioni di certo non aumenterebbero mai. Ma non basta si propone, sempre per il sistema contributivo, di eliminare, dal coefficiente di trasformazione del montante contributivo in rate di pensione, il riferimento alla crescita economica assunta dalla riforma Dini del 1995 nella misura dell’1,5% l’anno, con il risultato di penalizzare ulteriormente chi andrà nei prossimi anni in pensione. Per non farla lunga su aspetti tecnici, il sugo della proposta veltroniana è il seguente: aumentare, di poco e a pioggia, le pensioni attualmente in essere e penalizzare ancora di più le pensioni future, proponendo uno scambio vergognoso ed inaccettabile. Nessuno, nessun pensionato che abbia a cuore il futuro dei propri figli ci può stare. La strada da percorrere è un’altra e nel programma della Sinistra l’Arcobaleno è delineata con grande nettezza: - intervenire per via legislativa rimettendo in discussione il meccanismo di calcolo delle pensioni a base meramente contributiva, modificandolo con apporti della fiscalità generale, in modo da garantire una pensione netta non inferiore al 65% dell’ultima retribuzione, così come, per altro, indicato nel protocollo sul Welfare firmato da Governo e sindacati; - incrementare le pensioni attuali minime e basse fino ad almeno 800 euro nette mensili e cambiare il meccanismo di rivalutazione di tutte le pensioni collegandolo alla ricchezza prodotta dal Paese (l’andamento del PIL) e all’inflazione calcolata su un paniere di beni e servizi essenziali. Franco Calistri Sinistra l’Arcobaleno Coordinatore regionale Sinistra Democratica Condividi