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di Anna Maria Bruni Si narra che un giorno il mago Trilok, carezzando per la milionesima volta il suo tabla e il suo pakhaway per far uscire dalle dita un nuovo Raga, si trovasse improvvisamente di fronte alla sua immagine soffiata fuori da quelle piccole percussioni, come un Aladino dalla lampada magica, pronto ad esaudire i suoi desideri. Ma i desideri del mago Trilok non erano differenti da quelli di qualsiasi altro essere umano: erano migliaia, e tutti differenti, e tutti urgenti, e tutti squillanti come una risata, pronti a prendersi a spintoni, a gomitate, per arrivare prima. Il mago Trilok sorrise, strizzò l’occhio a Trilok, sollevò la bacchetta con la quale di solito rullava sulla batteria o scuoteva i piatti, e ripetendo a voce il suono del ritmo di un Raga come una formula magica, in un attimo trasformò quei desideri in una cascata argentina di suoni. Suoni di vento, suoni di pioggia, suoni di tempesta, suoni di tormenta, suoni di foresta, suoni di cascate, cinguettio di uccelli, suoni di risveglio. Quanti suoni poteva inventare, con il suo sorriso un po’ sornione, con la sua gioia divertita, tanti ne inventava. Ed è così che è nata la sua World music, quella musica capace di raccogliere tutti i suoni del mondo, cominciando da sé, e da un semplice Raga indiano. Che inizia a volare come il vento, e via via che incontra suoni di altri li trascina con sé, li confonde con sé, li fonde con sé. Il viaggio dura a lungo, più di vent’anni, e i suoni continuano a fondersi, a trasformarsi, creando elaborazioni complesse e poi tornando semplici, cercando ancora e di nuovo le origini. Finché un giorno il mago Trilok incontra quattro folletti degli archi, Carlo, Valentino, Sandro e Stefano, pronti anche loro a far uscire, fosse un violino una viola o un contrabbasso, suoni magici, pieni di echi lontani, capaci di farti sentire in un momento l’umidità delle colline irlandesi, il calore della passione tzigana, l’allegria leggera di un’aia salentina. “E’ un ottimo incontro”, pensò il mago Trilok; “che spasso”, pensarono i folletti, e così dicendo, fecero scivolare i loro archetti sulle corde. Il mago Trilok non ci pensò due volte, quei suoni erano l’occasione che aspettava per proseguire il viaggio verso suoni che scoprivano la comune essenza, che svegliavano la fantasia, che comunicavano attraverso i sensi, che moltiplicavano rumore, rumore nella testa, che si trasforma in pensiero, che diventa idea, che produce invenzione. E ancora che tocca materia, pelle, legno, metallo, acqua, conchiglia, e la fa diventare suono. Melodico, inquietante, spaventoso, turbinoso, ossessivo, rilassante, divertito. E’ “Arkeology”, il viaggio fantastico nel quale Trilok Gurtu e l’Arkè String quartet hanno portato per mano senza mai lasciarli spettatori incantati, imbarcati ieri sera all’Auditorium Gazzoli dalla sapiente direzione artistica di Silvia Alunni. Un viaggio cominciato insieme nel 2007, e che “ora sta volgendo al termine”, ci dice Stefano Dall’Ora, il contrabbassista del gruppo, mentre Carlo Cantini, Valentino Corvino e Sandro di Paolo, rispettivamente violino dilurba e recorder, violino e voce, e viola, si schierano sul palco con Trilok per l’ultima foto della serata. Ma è un modo per definire uno spazio temporale, perché il viaggio creativo, come quello con cui vi abbiamo raccontato il concerto, non finirà mai. Prossimi appuntamenti: www.visioninmusica.com Condividi