proietti p..jpg
“Sono favorevole ad ogni iniziativa che permetta un rapido inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”. Così recita il comunicato stampa diffuso il 20 gennaio dal Ministro Gelmini che fa seguito all’approvazione di un emendamento al disegno di legge Lavoro, collegato alla Finanziaria, che prevede che l'apprendistato possa valere a tutti gli effetti come assolvimento dell'obbligo di istruzione. Di fatto il limite attuale dell’obbligo scolastico (16 anni) verrebbe abbassato di un anno, perché la nuova norma dà la possibilità ai ragazzi di 15 anni di optare per il lavoro con contratto di apprendistato, perdendo un anno di scuola e di reale formazione. Già nel settembre scorso i ministri Sacconi e Gelmini avevano chiarito all’Italia quali erano i loro progetti riguardo il rapporto tra scuola e lavoro. Nel “Piano di azione per la piena occupabilità dei giovani”, infatti, tra le sei priorità individuate dai due ministri vi era anche il rilancio del contratto di apprendistato. Nulla lasciava presagire, però, che il periodo di apprendistato “sottraesse” un anno all’istruzione obbligatoria. Ma così è, con buona pace della legge 296 del 2006 che prevedeva l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, sancendo un passo avanti nel cammino della nostra civiltà. Assolutamente in controtendenza rispetto agli altri paesi europei, questa norma ha suscitato aspre critiche da parte dei sindacati scuola e perfino del PD (che si è per un attimo risvegliato dall’incubo delle regionali). E la ragione è molto semplice: la funzione educativa e formativa della scuola non può essere in alcun modo demandata alle imprese, né si può accettare che vengano colpite ancora una volta le classi più deboli, maggiormente esposte alla “tentazione” di rinunciare ad un anno di formazione culturale in cambio di un’esperienza lavorativa (per quanto scarsamente) remunerata. Niente contro l’apprendistato, contro la formazione lavorativa in senso stretto, anche se è stato dimostrato che non serve affatto a promuovere la crescita culturale dei lavoratori. Ciò che non è tollerabile è che venga propagandato come uno strumento che favorisce la transizione tra scuola e lavoro (in realtà solo la Marcegaglia ha plaudito al provvedimento in quanto le imprese risparmierebbero sulla formazione degli eventuali nuovi assunti) e che venga venduto a così caro prezzo. Un anno di istruzione scolastica, di educazione e di formazione culturale vale ben più di un’esperienza lavorativa in un’azienda. E’, innanzitutto, un diritto. Condividi