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Secoli di pittura in una mostra che dopo anni di silenzio riporta l'attenzione su una produzione artistica dell'antichità considerata secondaria, una mostra che non poteva che essere titolata: “Roma. La pittura di un impero”. Infatti sembra assolutamente limitativo chiamarla pittura romana, talmente vasta e differenziata è stata la produzione pittorica di una formazione politica e istituzionale semplicemente sconfinata. Visitando la mostra si ha la netta sensazione di ammirare un corpus pittorico immenso, molto più importante e ricco di quanto siamo abituati a credere, ormai fuorviati dalle interpretazioni successive che hanno proiettato sulla pittura romana una visione univoca. Se pensiamo all'arte classica subito ci viene in mente la scultura bianca che l'interpretazione di Winkelmann ha imposto su una produzione, invece, ricchissima di colori. Cosi come riteniamo che la scultura sia la più rilevante della pittura e che quest'ultima sia soprattutto quella che decora le ricche ville pompeiane. Invece il percorso della mostra permette di comprendere il raffinato livello raggiunto da tanti artisti senza nome, citati dalle fonti e identificati soprattutto attraverso le loro opere, che sembrano anticipare soluzioni moderne con un coraggio e una creatività anche completamente sganciato dalle limitazioni della committenza. Sei secoli che vedono l'impero romano nascere e svilupparsi, da Giulio Cesare nel 49 a. C. fino al consolidamento istituzionale e di strutture di potere così avanzate e sofisticate da tenere insieme città e territori vasti oltre l'immaginazione. In questi secoli, la progressiva espansione imperiale produce un fermento culturale di rara intensità, tanto che l'arte nella Roma dei cesari può essere considerata fonte d'ispirazione di canoni culturali ed estetici che hanno segnato tutta la pittura e l'arte occidentale successiva. Il susseguirsi degli stili hanno permesso agli studiosi di catalogarli in quattro momenti. Il “Primo stile”, detto stile strutturale o dell'incrostazione, si data a partire dal 150 all'80 a. C. Caratteristica principale di questo stile è l'imitazione delle costose pareti in marmi policromi, in alcuni casi ottenuta mediante il ricorso ad elementi di stucco a rilievo. Il “Secondo stile”, detto anche architettonico, si colloca nel periodo che va dall'80 a. C. agli anni 30/20 del I secolo a. C. la novità principale è l'introduzione sulle pareti di effetti prospettici, forse grazie all'influsso delle scene teatrali. Il “Terzo stile”, detto Stile Ornamentale, si sovrappone inizialmente al Secondo stile per giungere fino all'età claudia (41 – 54 d. C). Le pareti sono di norma monocrome (preferibilmente scure) al centro delle quali a tinte più chiare erano dipinti pannelli che raffigurano scene tratte dal repertorio mitologico o paesaggi. Il “Quarto stile”, detto dell' ”illusionismo prospettico”, si affermò in età neroniana e si contraddistinse per l'inserimento di architetture fantastiche ed irrazionali. Abbandonando la sobria eleganza del Terzo stile, si fece ritorno alle architetture scenografiche del Secondo, inserendo dettagli fantasiosi. “I cambiamenti storico – politici in qualunque periodo comportano un mutamento di rapporti tra artisti e committenti. È chiaro che ci sono differenze sostanziali tra la produzione di apparati decorativi per ambienti e la produzione di ritratti. Nel primo caso entrano in campo anche le variazioni del gusto, mai così percepibile come il passaggio tra i cosiddetti quattro stili pittorici pompeiani, nei quali il pendolo oscilla tra scenografia barocca e fantasiosa e organizzazione regolare apparentemente semplice delle pareti. In tutto l'arco della pittura dell'impero le trasformazioni di gusto sono state ben numerose e hanno comportato in età tardo – antica un progressivo abbandono della pittura a favore della decorazione parietale a commessi di marmo di più colori, anche con pannelli figurati, oppure di una decorazione a mosaico, La pittura perde slancio a favore di nuove tecniche e nuove materie, che rispondono meglio alle esigenze della società al momento del trapasso verso il Medioevo. Contemporaneamente cambiano i modi di rappresentazione imperiale. Dall'immagine dell'imperatore “primus inter pares”, si passa gradatamente all'immagine dell'imperatore quale simbolo del potere di Roma, superiore e distaccato dai magistrati e dal popolo, con lo sguardo rivolto diagonalmente come in un muto colloquio con Dio. Lo stile si adegua alla nuova simbologia imperiale e accentua una impostazione frontale, distaccata delle immagini. Gli stili romani sono basilarmente decorativi e non coprono interamente il significato che diamo al termine “stile”; comunque, come nel caso del mobilio moderno, anch'esso distribuito per stili, al passaggio tra determinati stili decorativi può corrispondere un analogo significativo passaggio storico. L'evoluzione dal Secondo al Terzo stile pittorico, per esempio, coincide con l'affermazione di Augusto; quello dal Terzo al Quarto stile con il principato di Nerone e con la sua propensione al fasto. Gli stili hanno sempre alla loro base una trasformazione del gusto che è a sua volta sintomo di trasformazioni sociali talora anche complesse. Anche nel mondo antico lo stile, come l'arte nel suo insieme, non può essere mai disgiunto dal sistema sociale entro cui si muove”(Eugenio La Rocca). Il pittore nel mondo romano non gode di una considerazione molto diversa dagli altri artigiani, e quindi non ha un buono status sociale, dato il disprezzo con cui il mondo antico tiene il lavoro, specie quello manuale. Ne è testimonianza l'anonimato che caratterizza la massima parte degli artisti: rarissime sono le firme che questi sentono di potere o dovere apporre sulle loro opere e i nomi trasmessi dalle fonti sono quasi unicamente quelli dei pittori da cavalletto, considerati molto più importanti dei decoratori; Plinio ne nomina solo due: Studius, che avrebbe sviluppato la pittura di paesaggio e Fabullus, che avrebbe lavorato alla Domus Aurea, dove pure non è conservata nessuna sua firma. L’anonimato dei pittori, confermato anche dalle iscrizioni funerarie che li menzionano di rado, potrebbe essere legati all’organizzazione del lavoro e alla struttura della bottega. Questa era probabilmente organizzata in gruppi composti da un imprenditore con i suoi dipendenti, liberi o schiavi, piuttosto che da un maestro circondato da aiuti. Questi artigiani, molto cari, erano, come i colori, parte dell’instrumentum della bottega e con questi erano venduti. La giornata lavorativa durava senza pause dall’alba al tramonto. Il lavoro era precisamente diviso: il tector preparava la parte, il dealbatar imbiancava le pareti, il pictor le decorava; tra i pictores si distingueva il parietarius, che dipingeva i colori di fondo, i pannelli e le decorazioni standard, e l’immaginarius che dipingeva le scene figurate; questa distinzione, che risale probabilmente a un periodo piuttosto avanzato, è testimoniata dall’editto dei prezzi di Diocleziano del 301 d.C. che stabilisce la tariffa dell’immaginarius in 150 denari e quella del parietarius nella metà circa. “Ma a sorprendere in questa sfilata di cento opere provenienti da diversi musei e prevalentemente dal museo archeologico di Napoli e dal Palazzo Massimo di Roma è anche la capacità di catalogare con assoluta lucidità i diversi generi pittorici: il paesaggio, il ritratto, la natura morta, con una suddivisione arrivata fino al secolo scorso poco prima dello sconvolgimento causato dalle avanguardie del Novececento. Una razionale suddivisione che si nota maggiormente nella seconda parte dell’esposizione, dove la pittura smette di essere parte di una decorazione e diventa soggetto autonomi, quadro: ci sono scene mitologiche, diventate punto di riferimento per i grandi del rinascimento, le nature morte, che in mostra sono soltanto due di una straordinaria bellezza appartenenti al Quarto stile pompeiano e infine i ritratti. Realizzati con le tecniche più differenti, in vetro a mosaico, in crisografia, a encausto in legno (tecnica di pittura a fuoco NdR), raggiungono, soprattutto questi ultimi, una profondità che ha pochi paragoni” (Elena Del Drago). “Roma. La pittura di un impero” si può visitare fino al prossimo 17 gennaio. La mostra è allestita a Roma negli spazi delle scuderie del Quirinale, curata da Eugenio La Rocca, insieme a Serena Eusoli, Stefano Tortorella e Massimiliano Papini. Il catalogo è stato pubblicato dalla casa editrice Skira. Stefano Vinti Condividi