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Questa mattina il deputato umbro del PD Walter Verini è intervenuto alla Camera per chiedere al Ministro di Grazia e Giustizia "di contribuire a dare risposte che l’opinione pubblica attende sul caso Bianzino, risposte che la decisione dell’archiviazione rischia invece di sottrarre per sempre. Non si chiede di ipotizzare tesi - aggiunge Verini - ma semplicemente di contribuire, con l’autorità ed il peso ministeriale ad accertare che le procedure di indagine che hanno portato alla decisione di archiviazione siano state tutte scrupolosamente seguite, un accertamento che possa contribuire a colmare anche le zone d’ombra della prima fase, quella dell’immediatezza della morte di Aldo Bianzino". Di seguito riportiamo il testo integrale dell'intervento alla Camera dei Deputati. "Signor Presidente, prendo la parola perché vorrei che la Presidenza della Camera si facesse interprete – presso il Ministro di Grazia e Giustizia – della situazione di inquietudine che ha generato a Perugia e non solo in Umbria la decisione del Giudice per le indagini preliminari di procedere all’archiviazione delle accuse per il possibile reato di omicidio ad opera di ignoti del detenuto Aldo Bianzino. Ciò vuol dire che una morte in carcere, avvenuta poco più di due anni fa a Perugia, rischierebbe di rientrare nella categoria delle morti le cui cause non saranno mai disvelate. Si tratta di un caso che – meritoriamente – hanno seguito anche gli amici e colleghi del Partito Radicale e credo giusto, alla luce delle ultime vicende giudiziarie, sollevare in aula la questione. Morti dalla cause non accertate, dicevamo. E questo è inaccettabile. Ne va della credibilità del sistema carcerario italiano, che ai drammatici ed esplosivi problemi legati al sovraffollamento, all’edilizia penitenziaria, alla mancanza e al taglio delle risorse per la gestione anche ordinaria, aggiunge una troppo lunga serie di morti dalle cause poco chiare o fin troppo chiare. Ad essere colpita è la coscienza civile del Paese, come ha dimostrato anche in occasione della recente vicenda della morte di Stefano Cucchi. E a proposito di morti in carcere, cogliamo anche noi l’occasione di associarci alla richiesta della collega Ferranti rivolta al Ministro Alfano, perché si indaghi sulla incredibile notizia della morte nel carcere di Teramo di Uzoma Emeka, testimone-chiave del pestaggio di un altro detenuto morto nello stesso carcere. Aldo Bianzino, per tornare al caso, non era neppure condannato. Fu arrestato, insieme alla sua compagna, il 12 ottobre 2007, a seguito del ritrovamento nel loro giardino di piante di marijuana. Trasferito al carcere di Capanne di Perugia – un carcere che ho visitato qualche giorno fa e che peraltro non appare certamente dei peggiori – fu trovato morto trentasei ore dopo, la mattina del 14. E’ un carcere che come dicevo, pur non essendo oltre i limiti della vivibilità, ha seri problemi e nel quale il personale di sorveglianza è sottodimensionato di circa 120 unità, con tutti i problemi di gestione e di lavoro che è facile immaginare. Noi non siamo abituati a criticare la magistratura e le sue sentenze – che rispettiamo - e neanche in questa circostanza lo faremo. E tuttavia la decisione del GIP di archiviare non offre risposte certe alla domanda sulle cause della morte di Bianzino e le inquietudini debbono essere tenute presenti. Non va dimenticato, infatti, che in relazione alla questione c’è un agente di polizia penitenziaria indagato e rinviato a giudizio per omissione di soccorso e falsificazione di registri. Una omissione di soccorso che sarà accertata ed eventualmente perseguita in sede giudiziaria, ma che troppo frequentemente è la prassi vigente nel sistema carcerario. Secondo noi, Presidente, ci sono le condizioni per chiedere al Ministro di contribuire a dare risposte che l’opinione pubblica attende, risposte che la decisione dell’archiviazione rischia invece di sottrarre per sempre. Non si chiede, non potremmo farlo, di ipotizzare tesi, ma semplicemente di contribuire, con l’autorità ed il peso ministeriale ad accertare che le procedure di indagine che hanno portato alla decisione di archiviazione siano state tutte scrupolosamente seguite, un accertamento che possa contribuire a colmare anche le zone d’ombra della prima fase, quella dell’immediatezza della morte di Aldo Bianzino. Da quel fatto sono passati due anni. Nel frattempo la compagna di Bianzino è scomparsa, lasciando solo l’unico figlio, Rudra, diciassette anni, un ragazzo la cui solitudine è riempita dall’affetto e dalla solidarietà di tanta gente e dall’impegno per la verità piena circa le circostanze della morte di suo padre. Della sua situazione personale e delle sue condizioni di vita si sta occupando, meritoriamente, anche il Ministro delle Politiche Giovanili Giorgia Meloni attraverso i suoi uffici, ma il modo migliore per poter essere vicini ad un ragazzo di diciassette anni rimasto solo è quello di fare in modo che lo Stato italiano, le sue istituzioni gli dicano un giorno, con certezza e senza zone d’ombra, come suo padre lasciava la vita, quella notte, in quel carcere". Condividi