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Giocondo Talamonti Lombroso, medico criminologo dell’800 secondo il quale la natura violenta dell’uomo è individuabile nelle misure del cranio, con uno come Antonio Cassano ci sarebbe andato a nozze. Nel senso che se lo sarebbe studiato centimetro per centimetro ‘sto capoccione de Totò ma, alla fine, sono sicuro che non ci avrebbe capito un tubo. Lui è così. Esplosivo e imprevedibile nelle reazioni, proprio come fa con la palla tra i piedi. Il guaio è che il soggetto non gioca nella squadra della parrocchietta, per cui a gioire o lamentarsi non sono solo i compagni di catechismo. La sorte ha voluto riservargli palcoscenici di primo piano, mondiali, anzi galattici dai quali è stato fatto scendere in tutta fretta per non aver recitato bene la parte o, meglio, averla stravolta. Il ragazzo è incurabile. Al suo capezzale si sono alternati luminari come Fascetti, Capello, Mazzarri, si sono prodigati assistenti come Totti, Mancini, De Rossi, Montella, ma niente da fare, la malattia non si stronca. La “cassianite” cronica, tuttavia, non è un’infermità rara. Molto diffusa, ha manifestazioni epidemiche, specie in contesti che ne favoriscono l’improvviso sviluppo, quali campi di calcio e dintorni. I buonisti ad oltranza giurano che tra qualche anno gli passerà. Adesso ne ha 26, è giovane e l’intemperanza è una nota dei ragazzi. Il guaio è che se si aspetta ancora, Cassano non giocherà più, mentre il cattivo esempio di oggi fa più danno d’una guerra persa. Le cinque giornate di squalifica non servono a niente, come poco produrrà la multa di 80.000 €. Uno come lui non deve giocare. Né a calcio né a tamburello. Creerebbe casini comunque e dovunque. Freghiamocene del talento vero o presunto grazie al quale si giustifica ogni attesa di rinsavimento. All’origine del suo comportamento sta solo la pura maleducazione, l’assenza totale di rispetto per gli altri, l’ignoranza alimentata da valanghe di soldi, l’arroganza del “parvenu”. Cassano non serve allo sport, né potrà mai essere un esempio per i nostri ragazzi già in crisi di identità. A quelli che dicono che è bello vederlo giocare, quando è in pace con il mondo, rispondo: “diamogli un pallone ma facciamolo giocare da solo, magari nel salotto di casa sua”. Condividi