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di Giorgio Gagliardoni Eppur si muove, la Sinistra di Alternativa. Qua e la si colgono timidi segnali di ripresa e vanno tutti, per chi scrive, in una direzione totalmente condivisibile: lotte sociali, lotte per il lavoro, vertenze territoriali, pratica di forme di mutualismo e socialità. Un’area politica che, con molta fatica, si sta di nuovo muovendo su terreni e questioni che la storia gli vuole più consoni. Finalmente. Non meno importante l’avvio di forme di unificazione-riunificazione delle forze che si collocano in quest’area. Eppur si muove, ma purtroppo non ci siamo. Sui media, non politicamente. Del lavoro politico, delle posizioni, degli interventi e delle opinioni di quest’area politica non v’è traccia nei media nazionali. Su Rai e Mediaset il silenzio è sistematico, su Repubblica e L’Espresso l’unico modo di avere spazio è acquistare pagine di pubblicità, il resto risulta non pervenuto e stendiamo un velo pietoso sull’editoria in mano al Presidente del Consiglio. Eppure, non è drammatico il silenzio de Il Giornale o di Rai Uno: è preoccupante l’ostracismo di Repubblica o di “Anno Zero”, ossia di coloro che parlano al nostro popolo, che lo indirizzano e lo influenzano. Per certi versi, questa situazione rasenta l’intollerabilità. Non possiamo accontentarci di ritenere che l’assenza sistematica di tutto ciò che vagamente sia a sinistra del Pd nei media nazionali sia solo il risultato della mancata elezione di qualche nostro rappresentante in Parlamento. E non possiamo pensare che sia sufficiente una presenza continua e tutto sommato discreta sui media locali: sarebbe un po’ come dire che i comunisti in periferia fanno notizia mentre Ferrero tace. I comunisti sono assenti dal dibattito politico nazionale perché volutamente ignorati: dalla Rai, da Mediaset, dai grandi gruppi editoriali. Ignorati perché potenzialmente portatori di una idea e di una pratica di opposizione sociale che scardina il sistema bipolare, sia sotto il profilo politico che sotto il profilo culturale. L’essere stimati attorno al 3% non c’entra assolutamente nulla. Ovviamente, va tenuto conto del fatto che l’antiberlusconismo è una cosa e l’opposizione sociale è un’altra. Non sono affatto complementari, marciano divisi ma colpiscono poco perché la prima è un’arma spuntata, mentre alla seconda viene impedito di scendere sul campo di battaglia. Da chi? Da un lato, da chi teme che l’attenzione dell’opinione pubblica si sposti, in una battuta, dai licenziosi ai licenziati. Ma dall’altro lato, da chi ha tutto l’interesse che nel Paese non perda forza l’antiberlusconismo fatto di strilli e strepiti, figlio di scrupoli di coscienza democratica partoriti dinanzi a qualche aperitivo, in favore di una opposizione sociale capace di alimentarsi delle incazzature sui posti di lavoro, delle discussioni nei bar sotto casa o nelle bestemmie che tuonano tra le file agli uffici di collocamento. Nell’antiberlusconismo la questione sociale non viene presa in considerazione, neanche menzionata troppo spesso. Non serve, non fa gioco. I protagonisti di questa pratica politica non hanno né interesse né probabilmente gli argomenti per allargare il fronte dello scontro agli sconquassi sociali dell’azione del governo. Tant’è che, nell’immaginario antiberlusconiano, la crisi economica rimane fra le quinte di un teatro sul cui palco si affollano giudici e avvocati, prostitute e ruffiani, uomini d’onore e lacchè, festini e lolite, mogli tradite e scandali veri o presunti. È dall’epoca dei girotondi che settori espressione di classi agiate o per lo meno al riparo dalla precarietà dei tempi portano avanti una sacrosanta battaglia in difesa della democrazia e del rispetto della legalità. Giusta e condivisa, per carità, ma non sufficiente. Godono di convergenze fortissime con alcuni attori nei media nazionali: il gruppo Repubblica – L’Espresso ne è la cassa di risonanza cartacea; trasmissioni televisive come “Annozero” e “Ballarò” gli fungono da megafono catodico. Una convergenza anche strumentale, se vogliamo: la visibilità dei primi in cambio di copie vendute ed audience per i secondi. A questo gruppo di fuoco si è aggiunto da poco il “Il Fatto quotidiano” che per firme e linea editoriale si candida ad essere il giornale dell’intelligencija di quest’area culturale e politica, un po’ come il Foglio da una parte ed il Manifesto dall’altra, anche se il taglio giornalistico è decisamente diverso e certe volte plana vero lo scandalismo. A livello politico, quest’area supporta l’azione politica dell’Italia dei Valori, vero e proprio partito agit-prop con poche proposte ma in compenso sparate a volume altissimo; tiene sotto perenne scacco il Pd, terrorrizzandone il gruppo dirigente dietro il ricatto del non-voto; caldeggia aperture verso l’Udc, a cui riconosce l’unico merito di aver rotto il fronte comune con il “mafioso Berlusconi” dimenticandosi di Cuffaro; bastona la Fiom e tiene d’occhio l’intera Cgil; flirta con la Polverini e fa il tifo per Fini. Stiamo parlando di attori sociali di matrice borghese che riescono ad esercitare egemonia culturale e politica su porzioni consistenti di ceto medio e di ceto popolare, ovviamente quelli sfuggiti miracolosamente a 30 anni di imbarbarimento sistematico prodotto dalle televisioni commerciali. Egemonia, sia chiaro, prodotta non dagli strali del Di Pietro di turno ma da una strategia lunga 50 anni, di lunga lena e di buona lana: la creazione in Italia di una sinistra come forse neanche la immaginavano Gobetti e Rosselli, depurata da visioni di classe o peggio rivoluzionarie, bonaria con i lavoratori e collaborativa con l’impresa, socialisteggiante negli accenti ma pienamente compatibile con il liberalismo e le sue mutevoli accezioni. Quella che per anni è stata la sinistra propugnata e vagheggiata dalla borghesia illuminata che prima si nutriva del settimanale “Il Mondo” e poi ha fondato “Repubblica”. Operazione legittima ma sempre di spirito borghese ed indole elitaria, fondamentalmente ostile ai comunisti a cui ha conteso, ed oggi purtroppo guadagnato, il favore di gran parte dei ceti medi e popolari, per lo meno di quelli che non sono ormai passati stabilmente al campo leghista o berlusconiano. Il dovere di farsi sentire sta tutto qui. Nessuno ci darà una mano. Ci ignorano. Se possono, ci tappano la bocca. Siamo soli e con pochi soldi in tasca. Difettiamo nei mezzi ma abbiamo le idee e le proposte. Non ci rimane altro che sfruttare ogni occasione, ogni momento possibile per comunicare, a parole e con i fatti, l’idea dell’opposizione sociale. Che sia un blog su internet, un comunicato stampa ai giornali, un gazebo, un Gap, un intervento ad una assemblea popolare, un volantino appiccicato con il nastro adesivo, un sms agli amici, va bene tutto purché sia. Tutto serve per ricreare un circuito virtuoso che dalle parole alle pratiche costruisca nuove basi per riprendere la battaglia per l’egemonia politica e culturale sui ceti medi e popolari. Altrimenti non stravince solo Berlusconi o il leghismo, ma si afferma in parte anche una vulgata del pensiero di Gobetti e Rosselli, quando sarebbe il caso che a vincere fosse Gramsci. Condividi