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di Daniele Bovi Nel 1970 una splendida Monica Vitti vestiva, nel film di Marcello Fondato “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa”, i panni di Maria Sarti, diva dell’avanspettacolo popolare che inventò “la mossa”. Ossia un colpo d’anca che all’epoca (siamo agli inizi del Novecento), sembrava cosa talmente rivoluzionaria da apparire come un gesto futurista. Nel gran varietà del Pd umbro Lamberto Bottini si trova nella stessa situazione di Ninì Tirabusciò: è lui che si deve inventare la mossa, il primo passo nei confronti del rivale Alberto Stramaccioni. Lui infatti sta lì, seduto in prima fila, e aspetta la mossa: “Aspettiamo con ansia – ha detto questa mattina in conferenza stampa – che siano loro a prendere l’iniziativa”. Qualcosa Bottini, come ha detto nei giorni scorsi, lo farà. Per il momento però gli sherpa sono a riposo. E se qualcuno (vedi l’ex sindaco Locchi) pensa che, nel gran teatro varietà del Pd, per l’Assemblea del 14 ci sia solo un “problemino tecnico”, tipo quando ti si ottura il lavandino e devi chiamare l’idraulico, Stramaccioni manda a dire che “la mancata elezione del segretario, sancita dal voto di domenica, è un importante dato politico. Per l’Assemblea non si tratta di un problemino tecnico, ma politico”. L’idraulico non basta. E se dunque Bottini è nei panni di Ninì, il segretario provinciale Stramaccioni si sente più in quelli di “Alberto”, il protagonista della canzone di Camerini che nei leggendari Ottanta cantava: “Sono nato nel sole di un paese grande che libero forse non è stato mai”. Bisogna cambiare dunque, aria nuova nelle stanze del potere. “Confermo – ha detto Stramaccioni stamattina – quello che ho detto lunedì: la gran parte di questa classe dirigente politico-amministrativa è uscita delegittimata dal voto di domenica e da quello del passato turno amministrativo. Non si può conservare l’esistente e non si possono chiedere atti di generosità, non previsti dal vocabolario politico”. Praticamente un avviso di sfratto. Il canovaccio di tutto il congresso, come sintetizza Stramaccioni, è stato suppergiù questo: “Si sono confrontate due linee politiche contrapposte - ha detto - una, quella di Bersani-Bottini, che punta a confermare tutto e tutti, l'altra, la nostra, che ha chiesto una sostanziale innovazione nell'idea di sviluppo dell'Umbria e della classe dirigente che l'ha guidato negli ultimi due decenni”. Di più, l’Umbria “è un caso politico a livello nazionale visto che in nessuna delle regioni dove si va al ballottaggio - ha detto - il rapporto tra candidati locali collegati alle mozioni Bersani e Franceschini è di 49 per cento a 41''. Per corroborare la tesi Stramaccioni poi sgrana qualche numero del rosario della domenica democratica: “Guardate i numeri: Bottini ha preso 3148 voti in meno rispetto a Bersani. Mentre io ne ho presi 1129 in più rispetto a Franceschini. E poi ci sono 2760 schede nulle”. Che per l’Alberto non significano altro che questo: “Magari tutta questa gente ha avuto qualche perplessità su chi li ha governati. Queste cose vanno riconosciute”. Decisivi, alla luce del risultato sancito dalle urne, si sono rivelati i quasi 5mila voti rastrellati dalla lista di Stramaccioni Riformisti per l’Umbria: “A questo punto – dice – pensiamo ad una associazione o ad una rivista che porti avanti i nostri temi”. I termini associazione e rivista, in politica, si traducono in un modo solo: costituzione di una corrente organizzata all’interno del partito. Nell’attesa della mossa l’Alberto fa sapere che se nulla accadrà, se le rispettive delegazioni non si metteranno a ragionare e non troveranno un accordo, “all’Assemblea voteremo per il nostro segretario”. Cioè per lui. Nell’attesa però, Stramaccioni guarda e aspetta. Come cantava Ninì Tirabusciò, “Pe' cantá nun serve 'a voce,è 'o partito ca ce vò”. E cioè, per cantare non serve la voce, è l’appoggio che ci vuole. Condividi