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di Isabella Rossi “Quello della violenza in famiglia è un tema che mi sta particolarmente a cuore perché tale violenza è connotato di sopruso ed arroganza” così la dottoressa Antonella Duchini, P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Perugia, nel suo intervento al Convegno sullo “Stalking e la violenza in famiglia”. Il convegno, organizzato dall’Aiaf Umbria - Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori - con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Comunale e dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, si è tenuto giovedì scorso alla Sala dei Notari. La violenza occasionale non rientrerebbe nel concetto di stalking, diversamente dai reati seriali, secondo la dottoressa Duchini, che ha rilevato che a porre in essere questi comportamenti è, nella regola, un uomo perfettamente capace di intendere e di volere. Il violento in famiglia, dunque, non sarebbe un malato da curare o un disturbato mentale come troppo spesso le tesi difensive vorrebbero far accreditare. E se di fatto “la comprovata patologia psichiatrica spesso non c’è”, d’altro canto, ha denunciato il P.M., i deterrenti contro questo tipo di delitti sono praticamente inesistenti. La molestia continuata ha un’ammenda di poche centinaia di euro. Anche per il caso di violenza privata la pena è irrisoria. Per il delitto di lesioni, il reato viene riconosciuto quando è già in atto la violenza reiterata. “La tutela della vittima è nulla, anche se la mia è una formazione garantista”, constata amaramente la dottoressa Duchini, titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Barabara Cicioni. Non solo, un tabù culturale fa sì che il 90% dei casi non venga denunciato. Tanti e tali sarebbero gli strumenti forniti all’oppressore che la vittima in molti casi, sentirebbe aggravarsi la propria situazione con una denuncia. E a Perugia, come in molte altre città, il carico di procedimenti annuali sulle spalle dei magistrati non permetterebbe di dare priorità alle minacce in famiglia. Inoltre, il maltrattatore verrebbe frequentemente riabilitato da tesi difensive che comproverebbero, con banali testimonianze, la sua condotta “etica” al di fuori delle quattro mura domestiche, come se su questa non influisse soprattutto il suo comportamento all’interno di esse. In Umbria il 65% delle donne che si rivolge al telefono rosa subisce maltrattamenti e violenze in famiglia per una media 6-7 anni. Una riforma organica a livello giuridico e la creazione di un centro antiviolenza anche in Umbria sembrano le uniche vie per aiutare realmente le vittime di violenza. Condividi