di Giovanni Mazzamati (da
www.dazebao.org)
ROMA – Era il 24 gennaio del 2008 ed il secondo Governo Prodi cadeva non ottenendo il voto di fiducia in Senato. Senatori presenti 139, senatori votanti 138, maggioranza 160, favorevoli 156, contrari 160, astenuti 1: così recitava il tabellone luminoso di Palazzo Madama prima che fosse l’allora Presidente del Senato Franco Marini ad annunciare l’esito della votazione.
In aula scene assurde con i senatori dell’opposizione in visibilio, alcuni dei quali impegnati a lanciare improperi irripetibili al Governo appena sconfitto, altri con fiaschi di vino, bottiglie e bicchieri pronti per brindare, dopo che poco prima un senatore era stato oggetto degli insulti e degli sputi di un suo collega di partito.
È in questo scenario che nasce l’inchiesta condotta dal Tribunale di Roma a proposito della corruzione di alcuni senatori finalizzata alla caduta del Governo Prodi. Tra gli indagati c’è Silvio Berlusconi, cioè colui che maggiormente ebbe vantaggi da quell’episodio, potendo poi diventare Presidente del Consiglio. Una inchiesta ormai prossima alla conclusione, che, però, non preoccupa affatto il Cavaliere, poiché sembra orientata a produrre un niente di fatto, risolvendosi con una archiviazione.
Ma quei senatori che decisero di non rinnovare la fiducia a Prodi ora cosa fanno? Ripercorriamo brevemente i momenti salienti di quell’esperienza e scopriamolo.
L’equilibrio in Senato nella XV legislatura fu molto precario: per effetto della legge elettorale, il “Porcellum”, come fu definito dal leghista Calderoni, l’aula di Palazzo Madama risultò essere spaccata in due, con solo una manciata di senatori a vantaggio del centrosinistra. Fin dai primi giorni di vita dell’Esecutivo c’era la consapevolezza che una pur piccola crisi tra le tante forze politiche che componevano la maggioranza avrebbe messo a repentaglio il Governo.
La prima defezione tra le file del centrosinistra si ebbe praticamente subito. Al momento di eleggere il presidente della commissione Difesa in Senato, la senatrice designata dell’Unione, la storica pacifista Lidia Menapace, eletta nelle file di Rifondazione Comunista, fu battuta dal senatore Sergio De Gregorio del Movimento Italiani nel Mondo, senatore dell’Italia dei Valori. Determinante per questa elezione fu il consenso del centrodestra che produsse due effetti: la presidenza per De Gregorio, come detto, e il suo passaggio all’opposizione, con l’assottigliamento del vantaggio per il centrosinistra. Fu accolto con favore dal centrosinistra, invece, il passaggio alla maggioranza del senatore Marco Follini, ex segretario dell’Udc, in rotta con il suo partito perché, a suo dire, troppo schiacciato sulle posizioni di Berlusconi.
Una ulteriore defaillance nel centrosinistra si ebbe al momento del voto per il rifinanziamento delle missioni all’estero, in particolare quella in Afghanistan. Il senatore Franco Turigliatto di Rifondazione Comunista e Fernando Rossi del Pdci votarono no, segnando la loro contrarietà alla linea della politica estera dell’Esecutivo. Se, però, per Rossi si trattò di una contrarietà legata a quel tema e non all’intera azione del Governo, Turigliatto interruppe da quel momento il vincolo di fiducia con Prodi, venendo espulso dal suo partito.
Tra una difficoltà e l’altra, tra le vicende giudiziarie del Guardasigilli Mastella e la nascita del Pd, si arrivò a quel fatidico 24 gennaio 2008. A votare contro il Governo furono: Mastella e Barbato (Udeur), De Gregorio (eletto con Idv ma al momento del voto facente parte del Gruppo Misto), Fisichella, Scalera e Dini (Uniti nell’Ulivo/Pd) e Turigliatto (eletto col Prc ma del Gruppo Misto).
Clemente Mastella, ex Ministro della Giustizia, non si candidò alle elezioni politiche del marzo 2008, ma decise di prendersi una pausa, anche se fu abbastanza breve. Nel giugno 2009, infatti, fu candidato in Campania nelle liste del Pdl per le elezioni europee venendo eletto.
Meno fortunato fu Tommaso Barbato, in quella legislatura senatore per il partito di Mastella, l’Udeur. Fu lui che quel 24 gennaio, durante la bagarre in aula, insultò l’altro eletto dell’Udeur, il senatore Cusumano, che decise di votare a favore: gli diede del venduto e del frocio, per poi sputargli in faccia. Tommaso Barbato ora è coordinatore regionale per la Campania dell’Alleanza di Centro, il movimento politico dell’ex giornalista del Tg1 Pionati.
Sergio De Gregorio visto che giurò fedeltà a Berlusconi praticamente appena messo piede a Palazzo Madama, trovò posto nelle liste campane del Pdl e fu rieletto al Senato nelle elezioni del 2008.
I dissidenti del Pd Dini e Scalera, come De Gregorio, si guadagnarono immediatamente la fiducia del centrodestra e furono ricandidati risultando poi eletti: l’ex Presidente del Consiglio nel Lazio, mentre Scalera nelle accoglientissime liste Pdl della Campania, anche se stavolta per la Camera dei Deputati.
Domenico Fisichella, noto monarchico, ex fondatore di Alleanza Nazionale, finì eletto nelle liste dell’Ulivo in quota Margherita tra lo stupore generale. Il suo voto contrario a Prodi non gli aprì le porte di una candidatura ed attualmente continua a fare il suo lavoro di professore universitario, anche se sembra essere vicino alle posizioni dell’Udc, soprattutto nell’eventualità della costituzione di un grande contenitore centrista.
Franco Turigliatto, invece, oggi è dirigente di Sinistra Critica un movimento anticapitalista nato da una scissione all’interno di Rifondazione Comunista.
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