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Il libro “Il maledetto United” non parla solo della storia degli sfortunati 44 giorni di Brian Clough alla guida del Leeds United, iniziati con i migliori auspici nell'agosto del 1974 e finiti con il suo esonero solo a settembre dello stesso anno, ma anche e soprattutto della transizione del calcio inglese da sport popolare e luogo dell'humanitas civile a fenomeno di showbusiness. Clough fu infatti una sorta di personificazione di questo passaggio: ultimo eroe della “working class” e, insieme, prima star televisiva. E Peace è straordinario nel tratteggiare attraverso la trovata del doppio binario narrativo ( il racconto del presente di Leeds ed il ricordo degli anni di goleador per squadre di bassa classifica e di giovane allenatore di successo a cui sfugge la coppa del campioni solo per la potenza imperialista e la “capacità di convinzione” esercitata sugli arbitri dalla Juventus di Boniperti e Trapattoni) il momento di transizione del calcio inglese. La tensione preannunciata sin dalla prima pagina (“ ...il vecchio sta morendo e il nuovo non può nascere...”) è quella di un Inghilterra che da operaia, tradizionalista e laburista si trasformerà nella società della finanza, della modernità che farà tuttuno della Tatcher e Blair. E il Brian Clough di Peace, con la sua sconfinata fiducia in se stesso che diventa presunzione, l'odio per i formalismi e per le tradizioni della vecchia Inghilterra, diventa il paradigma di questa società in trasformazione. Il calcio insomma come metafora delle trasformazioni sociali. Leggendo David Peace, e magari ricordando i suoi altri straordinari romanzi costruiti dentro la cronaca delle lotte dei minatori degli anni 70, viene la rabbia a vedere come la letteratura nel nostro paese non esprima, per la maggior parte, che raccontini intimistici e crepuscolari. Anche da qui si misura la difficoltà nell'individuazione degli strumenti che possono permettere le condizioni di una rivoluzione possibile. Condividi