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L’assemblea di sabato 18 luglio, con cui si è inaugurato il processo costituente per la Federazione della sinistra di alternativa, è stata davvero un buon inizio, segnato dalla partecipazione convinta e appassionata di tantissimi compagni e compagne. Un buon inizio grazie anche alle analisi e alle proposte contenute nelle relazioni di Cesare Salvi, Oliviero Diliberto e Paolo Ferrero, che hanno saputo mettere l’accento sulla necessità di un profondo rinnovamento della cultura e dell’azione politica della sinistra nel rispetto delle origini e delle radici dei partiti e dei movimenti che partecipano alla costituzione del nuovo soggetto. È ora il momento di avviare senza indugi un’azione politica “per temi”, di intraprendere battaglie “parziali”, capaci di aggregare nuovi soggetti e movimenti intorno ad iniziative concrete e di rendere visibile sin da subito la Federazione nei territori e sulla scena nazionale. In un’Italia tanto disastrata i temi urgenti sono ovviamente innumerevoli. Sono d’accordo con quanti reclamano la centralità del tema del lavoro. Accanto ad esso a me sembra che debba affiancarsi il tema dei beni comuni, pure richiamato dalla relazione di Salvi e dall’appassionato intervento di don Franzoni. La capacità di proposta e di azione della sinistra di alternativa non può oggi non misurarsi sul terreno di una politica, di un’economia e di un diritto dei beni comuni. Nel mio intervento all’assemblea del 18 ho posto l’accento su due fra i beni comuni, le sorti dei quali particolarmente contrassegnano, a mio avviso, il degrado della nostra società, ma anche la crisi della sinistra: il territorio – dunque i temi dell’urbanizzazione e delle politiche dell’abitare - così fortemente legato alla lacerazione dei legami sociali, al crescere della paura e alla richiesta di sicurezza, al deperire della solidarietà, al trionfo dell’isolamento sociale e dell’individualismo; i saperi – cioè l’istruzione, la scuola, l’università e la ricerca pubbliche - al cui deperimento si accompagna il deperimento della conoscenza critica, il decadimento culturale della società italiana ed insieme la perdita di egemonia culturale della sinistra. In questi ultimi giorni queste preoccupazioni hanno purtroppo trovato conferma nel varo del piano-casa di Berlusconi e nelle oscure ‘pagelle’ della Gelmini agli atenei italiani, seguite, com’è noto da ulteriori tagli alle università del centro-sud. D’altra parte è da tempo chiaro come anche, forse principalmente, su questi terreni - e cioè sulla creazione di quartieri-ghetto per emarginati e migranti da una parte e di mega-centri commerciali e comprensori residenziali chiusi dall’altra, e sulla progressiva perdita di centralità della scuola pubblica come laboratorio di democrazia, di uguaglianza, di rispetto delle differenze e dell’università come luogo di produzione di sapere critico - si sia giocato un mutamento antropologico che richiede da parte nostra attenzione immediata e rinnovata capacità di analisi e di proposta. Sul piano dei diritti civili e delle libertà la presenza di una sinistra di alternativa propositiva e operante capillarmente sui territori è altrettanto importante. E qui è ovvio che la nostra assenza dal parlamento nazionale (e pure dal parlamento europeo, invero!) costringe a strategie ‘altre’ che mi pare debbano soprattutto affidarsi al piano simbolico. Tralascio qui il tema, enorme, delle donne e della crisi (o no?) del patriarcato, tema ormai talmente straripante da non poter essere neppure abbozzato in poche battute. Su questo mi limito ad osservare che bisognerà pur chiedersi una buona volta quale sia lo spazio di libertà per le donne in questa società italiana, il modo concreto in cui è loro oggi concesso vivere. Faccio invece un esempio di azione ‘forte’ sul piano simbolico che la Federazione potrebbe sin da subito porre in essere sia nella prospettiva di segnalare in maniera tangibile la propria presenza sulla scena politica, sia nella prospettiva di presentarsi come soggetto unitario aperto al dialogo e all’aggregazione con altre soggettività. La violenza omofobica mai sopita, anzi alimentata dalla crescente arroganza delle destre razziste e intolleranti, il rifiuto del migrante perché diverso e inferiore, oggi addirittura tradotto in termini di legge con l’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’, richiedono una controffensiva chiara, una testimonianza di civiltà che affermi a voce alta che un altro clima culturale e altre forme di convivenza civile sono possibili. E che un po’ rincuori anche quei molti, soprattutto giovani, che si sentono impotenti di fronte a questa deriva. L’idea, molto semplice ma limpida nel suo significato simbolico, è quella di una proposta di legge di iniziativa popolare che introduca una figura nuova di illecito civile contro il linguaggio d’odio (hate speech, nell’esperienza giuridica nordamericana), il linguaggio offensivo di marca razzista e omofobica. Si tratta di attribuire a chi è emarginato da leggi ingiuste o da colpevoli omissioni del Parlamento (tale il mancato riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso in Italia) un diritto ‘speciale’: il diritto ad ottenere un risarcimento, cioè una riparazione, per il danno, anche e soprattutto morale, che le è cagionato da chi offende a motivo dell’altrui provenienza o orientamento sessuale. Non un nuovo reato dunque, non l’uso del diritto penale contro chi usa linguaggio omofobico e xenofobico, ma una sanzione civile, anni luce distante dalla logica della repressione, delle ronde, della crescente militarizzazione dell’ordine pubblico. Condividi