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Andrea Liberati Segretario Legambiente Umbria Nei precedenti post, inviati anche ai media locali, vi abbiamo tenuti informati sulle criticità/emergenze ambientali che ci vedono maggiormente preoccupati ed occupati. Oggi torniamo a fare il punto sulla vicenda dell'inquinamento da cromo esavalente (uno degli agenti cancerogeni più pericolosi) al cantiere Terni-Rieti, alla discarica in località Valle di proprietà della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni. Premetto che le considerazioni, le domande, le opinioni di seguito esposti non hanno niente a che vedere con le indagini in corso ma attengono piuttosto a quella che riteniamo la nostra "missione" principale e cioè far rispettare il diritto dei cittadini ad essere informati, ad essere ascoltati, a partecipare ed a concorrere alle decisioni nelle forme e nei modi previsti dalle leggi in tema di partecipazione (Agenda 21 locale, Tavoli di concertazione, ecc.). Nel precedente post di mercoledì 22 luglio abbiamo pubblicato la nota informativa di ARPA in risposta alla nostra formale Richiesta di accesso alle informazioni ai sensi di quanto disposto con il D.lgs. 195/2005; dove ARPA ricostruisce la storia di quel che la stampa ha ribattezzato come "Laghetto dei veleni"; in realtà più d'una pozza d'acqua, rinvenute in tempi diversi, in luoghi diversi, "avvelenate" da grandi concentrazioni di cromo esavalente. La versione dell'ARPA è, secondo noi, attendibile anche se più di un dubbio c'è rimasto; ma non tanto per quello che c'è scritto quanto piuttosto per quello che non c'è scritto e che forse non poteva esserci probabilmente perché di non competenza dell'agenzia. All'ARPA riconosciamo comunque il merito di avere risposto celermente ed in maniera adeguata mentre siamo ancora in attesa delle risposte del Comune e della Provincia di Terni che sono ora, assieme ad ASL4, le principali istituzioni destinatarie di queste ulteriori domande. Il dubbio di fondo, che dovremmo tutti coltivare (la Magistratura sicuramente questo dubbio ce l'ha), è come sia stato possibile progettare, approvare e realizzare una galleria all'interno di quella "montagna di rifiuti pericolosi" che è la discarica TK-AST già da anni indicata (Legge 426/98, D.M. 468/01) come uno dei siti di interesse nazionale da bonificare. Ed ora i dubbi che potremmo definire minori. Come mai i valori di concentrazione del cromo esavalente, presente nella pozza d'acqua ritrovata a febbraio 2008 presso l'imbocco sud della galleria, e risultati a varie riprese di molto superiori ai valori di contaminazione, già nel mese di settembre 2008 presentavano invece valori di concentrazione nettamente inferiori tanto da permettere, (era diventato sostanzialmente cromo trivalente e cioè una sostanza molto meno inquinante), in termini di legge, (ma anche questo dettaglio è al vaglio della magistratura) lo svuotamento della pozza con successivo sversamento su corpo idrico superficiale, e più precisamente sul fosso Cacciamano? Da nostre ricerche è risultato che (per lo meno così ci risulta ma siccome non ne siamo sicuri formuliamo questa ipotesi in forma di domanda) esistono delle sostanze riducenti che trasformano il cromo esavalente in trivalente; trattamenti che sono utilizzati per bonificare le acque contaminate che necessitano comunque di un secondo trattamento per far precipitare completamente il cromo ed i fanghi risultanti devono essere rimossi e trattati come rifiuti speciali pericolosi. Risulta che sia stato autorizzato e/o messo in atto un simile trattamento? Questa possibilità, circa la trasformazione del cromo esavalente in cromo trivalente pare assomigliare, in qualche modo, alla soluzione proposta da TK-AST, durante una recente riunione in Regione con tutte le autorità competenti, e descritta sul Il Messaggero, in un articolo del 25 luglio, intitolato Aggressione chimica per l'acqua al cromo esavalente, come un impianto di trattamento e decantazione con additivi e trattamenti chimico-biologici. Un processo di "bonifica" che comunque prevede un iter autorizzativo. Un altro dubbio leggittimo che merita una risposta da chi di dovere. Ed ancora, questo fosso Cacciamano che ci risulta essere una sorta di canalizzazione dove l'acqua scorre soltanto quando vi è immessa apposta, può essere considerato un corpo idrico superficiale? C'è la possibilità che le acque, saltuariamente immesse del fosso Cacciamano, possano essere entrate in contatto, inquinandole, con le acque sotterraneee? Ed inoltre il fosso Cacciamano, di cui, perlomeno stando alle carte da noi visionate, non si conosce il percorso, sfocia in qualche altro corpo idrico superficiale? Se sì, qual'è quest'altro corpo idrico (il fiume Nera?) e dove avviene l'immisione? E nel punto d'immisione ed a valle è stata mai monitorata la qualità delle acque? Passiamo ora a Marzo 2009 ed allo scavo della galleria sul fronte nord, lato S. Carlo. Anche in questo caso sono state rinvenute acque che presentavano valori di concentrazione di cromo esavalente molto alti ma comunque non tanto da impedire, secondo legge, che tali acque fossero collettate e convogliate in apposite vasche di raccolta e infine sversate sul torrente Tescino. Tralasciando tutto ciò che sarà compito della Magistratura accerteare (ad esempio la natura o meno di rifiuto di queste acque) il Tescino può essere considerato un corpo idrico superficiale visto che è notorio che questo torrente è da anni in secca e sicuramente non c'era traccia di acqua nel periodo in questione, come io stesso potrei testimoniare? Queste sono le domande che ci ha suggerito la lettura della nota ARPA, al momento. Ad altri, magari con maggiori competenze o con maggiore spirito di osservazione, probabilmente, ne verranno in mente altre e questo non potrà che confermarci l'importanza di battersi per far valere il nostro diritto di essere correttamente informati. Quanto al diritto a partecipare: piacerebbe anche a noi essere invitati (naturalmente con le altre associazioni, comitati, cittadini non organizzati, ecc.) ai tavoli istituzionali e non, così come lo sono i sindacati e le aziende; in modo da mettere sul piatto della bilancia oltre alle ragioni della difesa dei posti di lavoro e del diritto d'impresa anche le ragioni della difesa della salute delle persone (dei lavoratori sul posto di lavoro in primis) e dell'ambiente. E' ora che i diritti economico-sindacali ed i diritti ecologico-ambientali vengano entrambi considerati, per lo meno dalle istituzioni, per spezzare quella "cattiva abitudine" delle imprese (pubbliche e private) a richiedere sempre meno regole e sempre meno diritti; cattiva abitudine che ha fatto la storia industriale di questo come di tanti altri territori, e che riemerge ancora più pressante e (pre) potente in tempo di crisi. Condividi