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La sinistra lancia la sua federazione. Prc, Pdci, i socialisti di Cesare Salvi più sindacati di base, movimenti e associazioni provano la carta dell'unità. E poco importa, almeno per ora, che non tutti i promotori la vedano allo stesso modo. E' sabato, e in una Roma deserta e radiosa quasi mille persone (750 quelle registrate ufficialmente) passano più di sette ore chiuse in un centro congressi per discutere appassionatamente di crisi della democrazia, autunno della sinistra e cedimento strutturale del neoliberismo. Sì, il dibattito sì: «Un nuovo inizio», è lo slogan della giornata. E forse arriverà nonostante i dubbi e le divisioni che ci sono anche tra simili. Decine di interventi - anche di interlocutori non direttamente interessati al progetto come Vincenzo Vita (sinistra Pd), Marco Ferrando (Pcl), Roberto Musacchio (Sinistra e libertà) - conclusi dai due segretari Oliviero Diliberto (Pdci) e Paolo Ferrero (Prc) illustrano invariabilmente un paesaggio cupo. E' la gaudente Italia di Berlusconi ma sembra qualcosa a metà tra la Germania di Weimar (Ferrero) e un incubo orwelliano da grande fratello (Vita). La democrazia è appesa a un filo e neanche il lavoro, fondamento della Repubblica, se la passa tanto bene. Per non parlare del mondo, sull'orlo della catastrofe ambientale e sociale. Se questo è il quadro è come minimo obbligatorio provare a unire le forze sparse a sinistra del Pd. E la federazione che viene proposta è un contenitore che permette a tutti di sentirsi a casa senza prima distruggere la propria. Almeno così lo spiega Paolo Ferrero anche se intorno a lui tutti, perfino da sponde opposte, descrivono la federazione come un passaggio intermedio verso un nuovo partito. «La federazione sarà un vero soggetto politico che opera sulla base del principio democratico», esordisce Cesare Salvi nella relazione che apre la giornata. E anche per Diliberto questa federazione è un passo intermedio («l'unità possibile») verso l'unità dei comunisti. Mentre sul versante opposto Augusto Rocchi (coordinatore dei «vendoliani» rimasti nel Prc) la vede invece come un passaggio verso un nuovo «soggetto unitario e plurale» aperto a tutti e non solo ai militanti della falce e martello. Faremo «una sinistra antiliberista e autonoma dal Pd dove nessuno si senta ospite», promette Vittorio Agnoletto, descrivendo un soggetto simile alla Linke tedesca, alternativa ai socialdemocratici e dunque al nodo del governo, qualificata socialmente per identità e politiche da fare. Altrimenti il rischio del Pci bonsai è dietro l'angolo. Timore che Paolo Ferrero evidenzia con la massima cura quando apre ogni paragrafo della sua relazione ribadendo il suo accordo «totale» con Diliberto. Nel Prc ma non solo si teme l'arroccamento identitario o le diatribe sull'«andare oltre» che hanno già sfasciato Rifondazione e diviso la sinistra. Vita sale sul palco si rammarica della chiusura unanime verso il Pd. Insiste almeno per una «sinistra creativa» che dalla sconfitta comune di riformisti e comunisti trovi il gusto di studiare insieme in una fondazione. Concludono i due segretari. Diliberto è brutalmente realista: «Le nostre organizzazioni sono inefficaci. Compagni, non possiamo fare nemmeno un'interrogazione parlamentare». Quindi per il segretario del Pdci servono nuova linfa, nuove idee, anche se dalla falce e martello e dalle radici comuniste non si può prescindere: «Io sono marxista e voglio ragionare con quelle categorie». Un po' scettico anche Claudio Grassi, che impugnando l'intervista di Gianni Rinaldini (Fiom Cgil) ieri su Liberazione, preferisce concentrarsi sull'unità d'azione, sulle cose da fare contro la crisi più che discutere di contenitori tutti da verificare. Ferrero prova a giocare d'anticipo sminando il campo, difende con passione un'aggregazione aperta, perché «la vera sfida è riuscire a costruire un nuovo modo di stare insieme, per evitare che il 5% di cose che non condividiamo ci obblighi a rompere, come è stato in passato». Nella sua relazione il segretario del Prc prova a tirare le conclusioni senza scontentare ciascuno: autonomia dal Pd vuol dire nessuna possibilità di governare insieme a livello nazionale. Non esclude alleanze alle regionali e, a differenza di altri, è più possibilista su un rapporto con un'Udc non «cuffariana». Interloquendo direttamente con Luigi Ferrajoli, che nel suo intervento della mattina ha delineato il crollo della democrazia e i rischi del berlusconismo, Ferrero ribadisce che il centrosinistra può rinascere solo contro il bipolarismo, per una breve stagione di riforme costituzionali di garanzia democratica (conflitto di interessi, ripristino della legalità, legge elettorale proporzionale). Le alleanze onnicomprensive hanno ucciso la sinistra e non si faranno più. Il divorzio, per ora, è consensuale. Divisi e dubbiosi ma ci si prova. A fine ottobre (in tempo per le regionali) si farà un secondo appuntamento nazionale di bilancio e di varo vero e proprio. Nel frattempo, si costruiranno altre assemblee territoriali che discuteranno un manifesto «ideale», uno statuto di regole, una lista di cinque cose da fare subito contro una crisi economica che in autunno, alla fine dei turni di cassaintegrazione, butterà per strada decine di migliaia di lavoratori. Non a caso, viene sostanzialmente accolta senza obiezioni la proposta di Gian Paolo Patta (Cgil ed ex sottosegretario del Pdci) di formare subito cento circoli in altrettanti luoghi di lavoro. Circoli dove ci si possa iscrivere direttamente al «nuovo soggetto» federato senza passare per i partiti le loro parzialità. Sipario. Sigla. Bandiera rossa. Condividi