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di Carla Cantone    Se volessi provare a condensare in una frase l’insegnamento di Giorgio Napolitano, potrei dire priva di alcun timore: “ Mai politica senza etica personale”. Un valore incorruttibile, il suo, testimoniato lungo una carriera politica che dura ormai da 60 anni e che cominciò nel 1942, quando studente ventenne divenne comunista  “per ragioni morali e culturali”. Quelle stesse ragioni morali e culturali che ancora oggi da Presidente della Repubblica gli fanno dire alla vigilia di quest’ultimo 25 Aprile che ''La Resistenza, è una straordinaria prova di riscatto civile e patriottico del popolo italiano e percio' non puo' appartenere a una sola parte della nazione''. Resistenza e ovviamente Carta Costituzionale che da quella dolorosa e intensa vicenda discende e che per Giorgio Napolitano è diventato il vero “libretto rosso” per tutti gli antifascisti di ieri e di oggi, come una volta ebbe a dire  Ermanno Rea, giornalista e narratore nato nella sua stessa città, a Napoli. Per Giorgio Napolitano ciò che conta, negli anni della ricostruzione come in quelli successivi è l’agire politico, quell’agire collettivo che salda le grandi domande sociali con le istituzioni democratiche, che affronta anche le sfide più dure facendo crescere la fiducia delle persone in se stesse e verso il futuro e che NON le spinge a rinchiudersi nelle paure e nei propri egoismi, come oggi purtroppo spesso accade. E questa sensibilità, in Napolitano, l’abbiamo avvertita ancora di recente, quando da Presidente della Repubblica è intervenuto più volte in materia di sicurezza sul lavoro e perché non fosse modificato l'articolo 10 bis del testo unico sulla sicurezza, che rendeva sostanzialmente impunibile il datore di lavoro di fronte agli infortuni. O quando l’abbiamo ascoltato sulle derive dell’intolleranza e della xenofobia ben ammaestrata che si stanno manifestando attraverso una legislazione che mostra la faccia feroce e dà rilevanza mediatica agli immigrati, da una parte, mentre dall’altra diventa  più indulgente fino a garantire l’”oscuramento” nei mezzi di informazione verso temi come l’ evasione fiscale e la corruzione e tutto ciò che non “conviene” rendere pubblico. Curzio Malaparte nel dopoguerra definì Giorgio Napolitano “ un giovanotto capace di non perdere la calma «neppure dinanzi all’Apocalisse». Uno stile personale che alcuni testimoni privilegiati definiranno da “prussiano”  o da Lord inglese e che porterà il nostro Presidente a diventare un uomo delle Istituzioni repubblicane, in particolare un garante dell’equilibrio tra i poteri, che tra tutti i beni della democrazia, resta sempre il bene più alto. Per questo non ci sorprende davvero che Silvio Berlusconi lo abbia considerato un candidato inaccettabile in occasione della sua elezione a Presidente della Repubblica. Ed è in questo ruolo di garante degli equilibri di potere che lo vediamo intervenire durante la drammatica vicenda Englaro che lo porta ad un contrasto tutt’altro che formale con il Governo in carica che, con un “colpo di mano”, tenta di scassinare la democrazia parlamentare, l’autonomia delle magistrature, la laicità dello Stato e la libertà di coscienza delle persone. Condividi