di Leonardo Caponi
“Errare umanum est, perseverare diabolico”: la vecchia massima latina si attaglia perfettamente alla decisione dei due maggiori tronconi di quel che rimane della sinistra italiana di riconfermare le rispettive strategie politiche dopo il risultato delle europee. Il confronto con l’insuccesso dell’Arcobaleno di un anno fa (che serve tanto alla lista “comunista” quanto a Sinistra e libertà a trovare motivi di incoraggiamento ad “andare avanti”) dovrebbe, infatti, indurre a considerazioni del tutto rovesciate.
Sulla sconfitta dell’Arcobaleno pesò in modo determinante la polarizzazione tra PD e PDL e il richiamo del voto utile. Stavolta il risultato elettorale evidenzia la crisi del bipartitismo (addirittura, forse, del bipolarismo) e manifesta il successo delle forze “minori”, dalla Lega, all’Udc a Di Pietro. Questo successo è negato, con tutta evidenza, alla sinistra, poiché essa si presenta divisa e frammentata in spezzoni, nessuno dei quali da solo, a meno di farsi consolatorie illusioni, può realisticamente ambire, in un futuro prevedibile, ad ampliare il proprio bacino elettorale in modo significativo e comunque tale da superare i crescenti “sbarramenti”.
Al campo delle illusioni appartiene l’ìdea della maggioranza di Rifondazione che sia possibile rilanciare il conflitto sociale attraverso la semplice “ricostruzione” del partito, in assenza di una “proposta politica” in grado di costruire un fronte più largo di forze. Quella di mettere in campo una sufficiente “massa critica” (oltre ad un programma realistico), per potere incidere sulla soluzione dei problemi, è, oggi lo si voglia e no, una delle condizioni decisive per ridare fiducia agli strati popolari colpiti dalla crisi e coscienza di se alla classe operaia.
Per quanto sgradevole possa apparire, bisogna guardare la realtà per quella che è! In Italia giunge a conclusione un “ciclo di resistenza”, iniziato dopo lo scioglimento del PCI, che, anche forse per gli errori compiuti dalle forze e dagli uomini che ne sono state protagonisti, mette in rilievo, oggi, anche nel nostro Paese, una crisi della idea del “comunismo” e il tramonto del suo fascino come risorsa del cambiamento. A voler essere impietosi fino in fondo, si potrebbe dire che la fotografia, che di Rifondazione e del PdCI esce dalle elezioni, è non di formazioni in ripresa, ma di partiti in via di estinzione. A questa realtà è giusto opporsi e non rispondere con l’abiura: ma è realistico pensare che una formazione comunista possa vivere, per una fase, in un “contenitore” più vasto e in un rapporto autonomo, ma unitario, con altre culture della sinistra.
Su Sinistra e libertà verrebbe voglia di sorvolare. Si è trattato, con tutta evidenza, di un cartello elettorale dettato, nella sua ragione prevalente, da esigenze e aspettative meramente elettoralistiche, peraltro mal riuscite (non si potrebbe spiegare altrimenti come le iperboli vendoliane e le sue suggestioni messianiche abbiano potuto convivere con la cultura filoatlantica e sostanzialmente liberista dei socialisti nostrani). Ma anche per la parte nella quale Sinistra e libertà corrisponde alla richiesta genuina di novità a sinistra, essa appare come un progetto politico confuso, che si caratterizza (ed è così vissuta nella sua componente prevalente) per l’abbandono del comunismo”, in una sorta di riedizione, per chi l’ha vissuta, della Bolognina venti anni dopo, in nome di una Sinistra generica e indistinta. Sinistra e libertà, in questo modo, “rompe” con metà della sinistra che esiste (quella ancora comunista) senza poter sperare di attrarre voti dal PD, partito antesignano e maestro nel campo del progressismo a debole caratterizzazione. Se poi l’ambizione fosse quella di ricostruire in Italia un partito socialista, essa sarebbe altrettanto irrealistica, dopo il naufragio (a compimento di una storia gloriosa) dell’ultimo Psi e il senso comune di ripulsa che ne è derivato nell’elettorato italiano.
I risultati alle europee dovrebbero dunque essere letti dalla Lista comunista e da Sinistra e libertà non come segnali di incoraggiamento, ma, al contrario, come segni evidenti della crisi di progetti politici contrapposti. Dovrebbero suggerire un coraggioso ripensamento in direzione di una ricomposizione unitaria. Come? Con la costituzione di una Federazione, che permetta di unificare le “anime” della sinistra attorno ad un comune programma e le vincoli ad un patto di unità d’azione, consentendo la sopravvivenza, per una fase anche in forma competitiva, delle diverse identità. E’ una proposta suscettibile di numerose a anche fondate obiezioni; ma è l’unica realistica come estrema ratio e ancora di salvezza di fronte alla prospettiva concreta di scomparsa della sinistra italiana.
Martedì
16/06/09
23:45