Sarà l’occasione per ricordare quanto accaduto il 4 giugno 1989 e sostenere la richiesta di Amnesty International alle autorità cinesi di svolgere un'inchiesta pubblica e indipendente sulla violenta repressione militare ordinata nel 1989 nei confronti delle persone che manifestavano pacificamente a Tiananmen e nei dintorni della piazza.
Il governo di Pechino ha finora impedito ogni tentativo di fare luce sull'attacco militare che provocò, nel giugno di 20 anni fa, centinaia di morti e feriti. Alla vigilia del ventesimo anniversario delle proteste, le autorità hanno ulteriormente intensificato il giro di vite contro attivisti e avvocati.
In assenza di dati ufficiali da parte del governo, diverse Organizzazioni non governative stimano che tra 20 e 200 persone siano tuttora in carcere per il loro coinvolgimento nelle manifestazioni per la democrazia del 1989.
"Il Congresso nazionale del popolo ha il potere di indicare la direzione per chiedere conto delle persone uccise, di quelle arrestate e di quelle che sono ancora in prigione" - ha scritto Amnesty International in una lettera aperta inviata il 13 maggio a Wu Bangguo, presidente del Comitato permanente del Cnp.
"Tra le persone tuttora in carcere, alcune furono condannate per reati 'controrivoluzionari' che sono stati cancellati dal codice penale cinese nel 1997" - ha sottolineato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International.
Non tutte le persone finite in carcere a seguito delle manifestazioni di Tiananmen per la democrazia presero effettivamente parte alle proteste. A causa della successiva soppressione del dibattito pubblico, molte di esse sono state condannate dopo il 1989, solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà d'espressione, ad esempio dando vita a dibattiti on line o pubblicando su Internet poesie in ricordo delle vittime.
Il carcere non è l'unico strumento cui le autorità ricorrono per impedire il dibattito sugli eventi del 1989. Le più note rappresentanti del movimento delle Madri di Tiananmen, Ding Zilin e Jiang Peikun, sono soggette a frequenti intimidazioni da parte della polizia e a periodi di detenzione arbitraria. A maggio, è stato loro vietato partecipare a una cerimonia funebre cui invece hanno potuto prendere parte 50 altri esponenti del movimento, dopo aver promesso al ministero per la Sicurezza dello stato che non vi sarebbero state presenze esterne, soprattutto di giornalisti.
In occasione della presentazione del Rapporto annuale di Amnesty International, giovedì 28 maggio, la Segretaria generale dell'associazione, Irene Khan, ha chiesto alla Cina di firmare e ratificare il Patto internazionale sui diritti civili e politici. L'organizzazione per i diritti umani ha apprezzato il Piano d'azione sui diritti umani, lanciato recentemente dal governo di Pechino, che prevede la fine delle detenzioni illegali e la protezione dei diritti umani garantiti dalla Costituzione cinese, ma ha sottolineato come il successo del Piano dipenderà dalla sua effettiva attuazione.
"Nel contesto della recessione economica globale, il governo cinese ha dimostrato di essere pronto ad assumere un ruolo guida per stabilizzare l'economia mondiale. Ma quando si tratta di diritti umani, le aspettative del mondo rimangono deluse. Il numero delle persone ancora in carcere per i fatti di Tiananmen dimostra quanto sia ancora dominante la mancanza d'impegno in favore dei diritti umani" - ha concluso Rife.
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