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Dopo aver accusato la sinistra e i giornali di pessismismo per gli allarmi gettati sulla reale situazione di crisi dell'economia italiana, che per il premier sarebbe addirittura alle nostre spalle, oggi il Cavaliere di Arcore trova un altro bersaglio sul quale indirizzare la sua furia polemica e si tratta di un bersaglio importante: niente meno che la presidente degli industriali italiani, Emma Marcegaglia, che si accinge a chiedere al governo di fare assai di più del poco fin qui fatto. Come se non bastasse, dalla bocca del leader degli industriali italiani è uscita una parola "depressione" per definire questa crisi economica, una bestemmia per Berlusconi che sinora nessuno si era azzardato ad usare nel nostro Paese. Ma c'è poco da fare, perché Emma Marcegaglia si olimita a prendere atto dell'umore prevalente fra gli industriali a quattro giorni dall'Assemblea generale della Confindustria che non è stato certo risollevato dalla pessima notizia fornita ieri dall'Istat riguardo al crollo del Pil nel primo trimestre di quest'anno: -5,9%, il peggiore dal 1980. "Siamo in una crisi molto profonda, inedita e senza paragoni", ha detto ieri il presidente di Confindustria che ha poi proseguito sullo stesso tono: "E' la peggiore dalla depressione del 1929 a oggi". Con una differenza fondamentale rispetto a quella degli anni Trenta: l'intervento sufficientemente tempestivo dei governi a chiudere le falle. Quindi , ha aggiunto , "la nostra percezione è che la strada per l'uscita dalla crisi sarà lunga, complicata e dolorosa per arrivare di nuovo ad un livello accettabile". Per cui giovedì chiederà al governo di cambiare registro, perché - e qui un'altro dolore per Berlusconi - non è vero che una volta usciti dalla crisi saremo più forti. Anzi. Anche se, naturalmente, la strada da imboccare che essa indica, facendo presente che già prima della crisi l'economia italiana marciava ad un passo ridotto rispetto a quella degli altri Paesi più sviluppati nostri concorrenti, rimane sempre la stessa, ovvero far pagare ai lavoratori il peso maggiore del risanamento: riforme per ridurre il peso della spesa pubblica (già oltre il 50 per cento del nostro Pil), fluidificare i processi decisionali, ammodernare le istituzioni, chiudere la stagione dello statalismo municipale e far fare un passo indietro all'invadenza della politica. Insomma, attacco alla previdenza e più liberalizzazioni per le quali invita il governo a sfidare l'impopolarità, l'ostracismo e i veti di quelle che chiama "lobby" dalle quali esclude, naturalmente, quella pur certo non innoqua, degli imprenditori. Anziché fissare costantemente l'asticella del termometro del consenso. "E' il momento di fare", dirà la Marcegaglia proprio a Berlusconi. Il che non vuol dire una bocciatura dell'azione di governo: vuol dire che bisogna fare di più nel senso favorevole alle imprese. Molto di più. Perché la crisi non deve rappresentare l'alibi dell'immobilismo sulle pensioni, sugli sprechi nella sanità (soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno), sulle carenze infrastrutturali, sulle politiche ambientali ed energetiche. Il che vuol dire che dal primo anno di governo Pdl-Lega, che pure agli industriali qualche cosa ha concesso, Confindustria si aspettava assai di più e perciò ora presenta il conto. All'appello - secondo le stime degli imprenditori - mancano dai 60 ai 70 miliardi, mentre Tremonti è disposto a non andare oltre 30 miliardi di euro. Perché con un Pil che non sale e una spesa che non scende anche il controllo del deficit è molto a rischio. E non basta l'ottimismo per far quadrare il cerchio. Condividi