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ROMA - Si chiamava Davide Centofanti una delle giovani vittime rimaste sepolte sotto le macerie della casa dello studente dell'Aquila. Aveva appena 19 anni ed era spaventato per le continue scosse che si susseguivano senza tregua. Come studente fuori sede avrebbe potuto allontanarsi momentaneamente dalla città fino a che il tutto non fosse passato, facendo rientro a Vasto, in provincia di Chieti, dove abitano i suoi, la madre e una giovane sorella, Lilli, ma non poteva farlo perché avrebbe perso la borsa di studio che gli permetteva di frequentare il primo anno di ingegneria gestionale. Gli mancavano sei maledetti "crediti" per riottenerla, una miseria alla quale ha sacrificato la sua giovane vita. Lo hanno sepolto ieri nella sua città natale, lontano dalla solennità dei funerali di Stato con tante autorità accorse in passerella, i suoi cari hanno voluto abbracciarlo per l'ultima volta nell'intimità del loro affetto, ma non si rassegnano a questa ingiustizia ed hanno rivolto un appello ai familiari degli altri ragazzi che sotto le macerie di quella maledetta casa dello studenti hanno lasciato sepolti i loro sogni: un appello per chiedere che si faccia chiarezza su quel crollo e si accertino le responsabilità. Per questo la zia di Davide, Antonietta Centofanti, chiede dalla tendopoli di Centi Colella, alla periferia dell'Aquila, la costituzione di un comitato dei familiari: il nipote ha perso la vita per quei sei crediti che rappresentavano per lui la speranza di un riscatto, venendo da una famiglia modesta che non avrebbe potuto mantenerlo agli studi lontano da casa. Così per non distrarsi (a Vasto aveva tanti amici da salutare) ha preferito rimanere. Una decisione che ha pagato duramente. Ancora più esplicita la sorella Lilli, 22 anni, studentessa di architettura a Pescara. "I figli dei poveri hanno gli affetti personali e lo studio come uniche cose su cui contare", ha detto, "la questione di fondo è che garantire sicurezza non significa solo combattere la criminalità, ma è anche avere progettisti che abbiano un'etica della costruzione". E Lilli è già in contatto con i suoi professori di Pescara perché nelle università italiane si cominci a parlare anche di fare dell'etica il filo conduttore delle discipline che riguardano le costruzioni. "Per noi che non abbiamo altro - prosegue - l'università è il futuro, e il futuro del Paese siamo noi. Nel momento in cui viene fatto qualcosa a noi si tagliano le gambe al futuro del Paese". Per questo, prosegue, ieri non avrebbe avuto senso partecipare ai funerali solenni: "uno Stato - conclude - che permette che si risparmino soldi sulla costruzione di edifici che servono alla collettività, come la Casa dello studente, l'ospedale e la Prefettura, non è uno Stato civile". Condividi