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di Daniele Bovi Sopra la porta dalla quale si entra nella mensa dove mangiano i lavoratori della Limoni, campeggiano penzolanti un corno rosso e una corona d’aglio. Qui però neanche gli atavici amuleti possono molto: la sfiga c’entra davvero poco. C’entrano, invece, le ben più solide decisioni prese dalla multinazionale Cosmologic. Decisioni che vanno nella direzione della chiusura dello stabilimento di Ponte San Giovanni. A rischio, come ha ripetutamente scritto in questi giorni Umbrialeft, sessanta posti di lavoro. Per la maggior parte ragazze giovanissime e apprendiste. Senza neanche, dunque, il paracadute degli ammortizzatori sociali. Qui, facendo un giro per lo stabilimento, l’unica cosa ammortizzata sembrano essere i materassini dove da giorni dormono gli operai. Quasi tutte le giovani lavoratrici hanno partecipato oggi pomeriggio all’incontro con il segretario del Prc Paolo Ferrero, che ha voluto fare un giro dello stabilimento prima di andare all’incontro con il coordinatore di Izquierda Unida Cayo Lara al vicinissimo Park Hotel. “Avevamo – dice una giovanissima dipendente della Limoni – cercato di pianificare il nostro futuro. C’è chi ha comprato una casa, chi ha preso un mutuo, chi ha i figli da mantenere. E spiegazioni plausibili per questa chiusura ce le devono dare”. Le spiegazioni vanno date anche a quei bambini che oggi si aggiravano nella sala mensa tra le bottiglie di Cola e i barattoli della Nutella. Loro per il momento non se ne interessano. Se fossero un po’ più grandi però, sarebbero sicuramente inferociti come i genitori. Inferociti con un’azienda che, per usare le parole della ragazza che per prima ha preso la parola, “ha un amministratore delegato con cui non riusciamo a parlare. I tre referenti che abbiamo qui e con cui riusciamo ad avere un dialogo non hanno nessun potere. Sono solo dei tagliatori di teste”. E – aggiunge un ragazzo – danno pure ragione a noi. Fatto sta che ora che trentadue banche controllano l’azienda (la cui precedente amministrazione ha lasciato un esposizione debitoria pari a 330 milioni di euro): un’azienda che si avvia a chiudere l’unico stabilimento in attivo. Ecco perché, fra le altre cose, la decisione appare così incomprensibile ai lavoratori: perché non ha una razionalità economica. O meglio, ce l’ha per le banche che per rientrare dallo scoperto vendono scaricando i costi sui lavoratori. “Ci avevano detto – prosegue sempre la stessa ragazza – che eravamo strategici. Ora noi vogliamo le risposte che non ci sono state date. Un altro fatto che complica il tutto è che non riusciamo ad avere la solidarietà degli altri lavoratori del gruppo sparsi per l’Italia, se non da quelli di Bologna, anche loro però a rischio”. Mors tua, vita mea. Ferrero ascolta, si guarda in giro e poi risponde, dettando quella che è secondo lui la tattica da seguire per uscire da questa gravissima situazione: “Voi siete – dice – le classiche vittime di questa economia finanziarizzata, dell’economia di carta. E di voi alle banche non importa un bel nulla, perché sono abituate a guardare al breve termine. E allora io vi suggerisco di andare a colpire là dove fa più male: al marketing, al marchio per esempio”. Come? “Organizzando – suggerisce Ferrero – volantinaggi fuori dalle sedi centrali delle banche che gestiscono la situazione, piantando un casino lì dentro e davanti alle profumerie del gruppo. Cercando poi di far diventare questo un caso cittadino, un esempio di come la crisi colpisce anche qui. Rifondazione non vi può fare e non farà promesse che non può mantenere. Può però mettere a disposizione la sua macchina organizzativa per riuscire a fare tutte queste iniziative”. Se questo dunque è quanto suggerisce Ferrero sul lato della lotta nuda e cruda, c’è un altro piano da tenere in considerazione, quello istituzionale: “Bisogna fare il possibile nei posti dove si può decidere la cassa integrazione, coinvolgendo comuni, Regione e Provincia”. Cassaintegrazione che rimane comunque l’ultima spiaggia per questi lavoratori: “Noi – dice uno – venderemo cara la pelle. Se non riusciremo a salvare lo stabilimento, allora ci muoveremo per la cassa integrazione. “Noi – prosegue Ferrero – chiediamo la Cig per tutti, anche per chi, come molti di voi, avendo un contratto atipico non possono accedere a questi benefici. Bisogna cercare di portare a casa, anche se la Cig è l’ultima spiaggia, quanto più possibile da Regione, Provincia e Comuni”. In questa direzione va l’atto approvato recentemente dalla Regione (grazie all’apporto del Prc), che prevede che per chi rimarrà senza lavoro non ci saranno, ad esempio, rette per l’asilo nido da pagare così come le tasse comunali e provinciali. Nella speranza che i lavoratori della Limoni pagheranno sempre e comunque tutte le tasse, perché significherebbe che il posto di lavoro è salvo. Condividi