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PERUGIA - Ada Girolamini, capogruppo socialista a palazzo Cesaroni, ha preso carta e penna per dichiararsi favorevole alla proposta del ministro Brunetta che vorrebbe innalzare l'età pensionabile delle lavoratrici italiane. Dice che questo va fatto per realizzare una verà parità, usando argomenti che somigliano stranamente a quelli del transfuga Lamberto Dini, ora esponente del Pdl, che, quando era ministro nei governi di centro sinistra si era distinto più di altri per gli attacchi rivolti al nostro sistema pensionistico e adesso va in brodo di giuggiole per l'occasione che gli viene data di rifarsi vivo. Per il redivivo Dini questa misura non solo è necessaria, ma addirittura "decisiva", ha affermato a Il Sole 24 ore che lo ha intervistato, e propone perciò di passare dai 60 anni attuali ai futuri 65 nell'arco di un quinquennio, così da ridurre "significativamente la spesa pensionistica e con quelle risorse si potrebbero eventualmente finanziare altri interventi equitativi del sistema previdenziale". Sempre l'ex ministro, come fa del resto la Girolamini, prende a pretesto per questa operazione la sentenza della Corte di Giustizia Europea che avrebbe sancito tale obbligo. La consigliera regionale socialista va ancora più oltre con il suo ragionamento, rimarcando come così operando l'uguaglianza fra uomo e donna diverrebbe effettiva, "declinata in ogni campo sociale ed economico, per un ruolo di pari responsabilità anche in famiglia”. Insomma, par di capire, se le donne trascorreranno più tempo nei luoghi di lavoro, vorrà dire che gli uomini avvertiranno maggiormente il dovere di dare una mano in casa. Cosa, questa, del tutto ipotetica, con il rischio che se ciò non accadesse le lavoratrici italiane, già oggi fortemente oberate dalle faccende domestiche e dalla cura della famiglia, si vedrebbero caricate di una maggior mole ancora di lavoro. In compenso, però, sostiene sempre la Girolamini, avrebbero pensioni migliori rispetto alle attuali che sono inferiori a quelle degli uomini e che crescono anche di meno (quasi 7 punti persi negli ultini dieci anni). E' del tutto evidente che non gli è venuto nemmeno il dubbio che questo dipenda in gran parte dal fatto che nella maggior parte dei casi le retribuzioni delle lavoratrici, a parità di mansioni, sono un bel po' inferiori a quelle dei loro colleghi maschi, un fenomeno che si è ulteriormente accentuato negli ultimi tempi, per cui basterrebbe eliminare questa evidente distorsione per risolvere in gran parte il problema. Altra questione posta da Ada Girolamini è che le donne che lavorano in Italia sono ancora poche: siamo ancora distanti dall'obiettivo del 60% fissato a Lisbona. A parte il fatto che non comprendiamo cosa c'entri questo argomento con l'equiparazione dell'età pensionabile, quasi che i datori di lavoro vedessero con maggior favore lavoratrici disposte a rimanere in azienda fino al 65° anno di età, quando invece è ben nota la tendenza che hanno a sbarazzarsi del personale in età avanzata, lavoratori e lavoratrici che poi incontrano enormi difficoltà a ricollocarsi. Se alle lavoratrici che hanno perduto le loro occupazioni alla soglia dei cinquant'anni allontaniamo ancora di più il momento del pensionamento, non faremmo altro che aggravare una situazione di già per se pesantissima. Forse, per porre rimedio a questo handicap converrà riflettere maggiormente a come porre affrontare con successo le ragioni vere che impediscono alle donne di entrare e rimanere dignitosamente nel mondo del lavoro: la insufficienza, per esempio, di strutture sociali a sostegno alla famiglia, quali gli asili nido per i figli e i servizi di ausilio per la cura degli anziani. Ed ancora, l'idiosincrasia di tanti datori di lavoro nel concedere il part-time; il fatto che quando c'è da licenziare qualcuno le donne vengono immancabilmente a trovarsi in prima fila, ed ancora gli strattagemmi studiati dai datori di lavoro con meno scrupoli per liberarsi delle dipendenti in attesa di prole (la prassi della letterà di dimissioni fatta loro firmare al momento dell'assunzione, che il governo Prodi aveva cancellato, è stata riportata in auge dal governo Berlusconi), i contratti precari che sono particolarmente diffusi fra le lavoratrici, e via elencando. Forse, allora, sarebbe anche necessario che nell'avanzare certe proposte si tenga in maggior conto l'opportunità delle stesse in rapporto ai tempi che si stanno vivendo e quello attuale non è certo il momento più favorevole per parlare di allungamento dell'età lavorativa, vista la difficoltà che in tanti incontrano per mantenere l'occupazione che hanno, bersagliati come sono dal dilagare senza freni della cassa integrazione e dei licenziamenti. Ma, tutte queste cose sono assai distanti da chi, non ancora in età di pensione, ha comunque ben assicurato il suo futuro, pur essendo da tempo assai lontano dal mondo del lavoro, quello vero, al quale non si avvicina più di tanto. Condividi