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La grave difficoltà finanziaria, economica e sociale e la recessione produttiva che stanno colpendo il nostro Paese e la nostra regione indicano chiaramente la crisi del capitalismo nella sua forma neoliberista. Se la profondità e l’ampiezza degli elementi di quest’ultima non hanno esiti predeterminati, le risposte continuano a non fondarsi su una politica di alti salari e di aumento dei diritti sociali, bensì su un intervento pubblico caratterizzato da una ulteriore compressione salariale che socializza le perdite per tutelare i profitti di banchieri e speculatori. L’elaborazione di una piattaforma all'altezza della crisi della globalizzazione capitalistica, deve accompagnarsi alla capacità di costruire un senso comune di massa riguardo a chi imputare la responsabilità della situazione presente. Gli studenti, che anche in Umbria in queste settimane si stanno mobilitando in massa per la difesa dell’istruzione pubblica al grido di “non pagheremo la vostra crisi”, stanno indicando la strada da intraprendere. In questa situazione il governo Berlusconi e Confindustria procedono a passo spedito con una politica organica d’aggressione sul piano sociale e su quello più generale della democrazia. Sul piano sociale i provvedimenti del governo si caratterizzano da un lato per l’affondo contro il mondo del lavoro, attraverso lo smantellamento del contratto nazionale, la volontà di modificare in maniera strutturale il ruolo del sindacato e la messa in discussione dell’articolo 18 e del diritto di sciopero; dall’altro per l’attacco contro la scuola pubblica e lo stato sociale per smantellare definitivamente la pubblica amministrazione attraverso le privatizzazioni. Il federalismo fiscale poi, così come viene proposto, è solo l’altra faccia del disegno per demolire lo stato sociale: alla diminuzione delle risorse si sommerebbe una guerra tra regioni ricche e regioni povere. Sul piano democratico c’è un filo conduttore regressivo ed autoritario che lega la legge Alfano con la continua messa in discussione dell’autonomia della magistratura e la volontà di liquidare le testate della sinistra con i provvedimenti sull'editoria. Per questo la lotta contro la legge Alfano e la raccolta di firme per il referendum vanno considerate parte essenziale della nostra battaglia di opposizione come necessaria controffensiva sociale e politica sul piano dei diritti democratici e in difesa della Costituzione. In questo quadro l’attuale opposizione parlamentare è fortemente insufficiente ed inadeguata a costruire un’alternativa alla crisi del neoliberismo e alla stabilizzazione moderata perseguita dalle destre. Udc, Pd e Idv esprimono una critica politica che si fonda sostanzialmente sull’antiberlusconismo, ma poi sposano in pieno le ricette anticrisi dettate da Confindustria. Registriamo però degli elementi di controtendenza che vanno valorizzati e dai quali dobbiamo ripartire per avere una prospettiva politica. Innanzitutto la piena riuscita della manifestazione dello scorso 11 ottobre ha indicato chiaramente la possibilità di costruire una forte opposizione di sinistra dalla parte dei ceti popolari, contro il governo, contro Confindustria, contro tutti i poteri forti del Paese. Occorre allora lavorare alla costruzione di un coordinamento dell’opposizione di sinistra che, con forme non episodiche fra le forze politiche, sociali e associative disponibili, si sviluppi nella nostra regione. Per questo riteniamo che occorra proseguire nel lavoro di costruzione delle “case della sinistra”, spazi pubblici in cui socializzare i problemi e promuovere dibattito politico, creazione di progettualità comune, allargamento dei processi partecipativi della sinistra. In tale direzione siamo facilitati anche dalla ripresa della mobilitazione sociale, del mondo del lavoro e della scuola: lo sciopero generale indetto dalla Cgil e dai sindacati di base per il 12 dicembre può rappresentare per noi e per l'intera sinistra il modo per far vivere nel dibattito pubblico e a livello di massa una proposta radicalmente alternativa alle politiche neoliberiste, per costruire un’uscita a sinistra dalla crisi di un intero modello di sviluppo. Uno sciopero che si è imposto nei fatti come esigenza di unificare le lotte in corso e quelle già convocate. Sosteniamo con convinzione la piattaforma: opposizione alle politiche sociali ed economiche del governo e opposizione seria e decisa a Confindustria. Occorre infatti un aumento significativo di salari e pensioni e un salario sociale per rispondere alla crisi con uno strumento generale di garanzia rispetto alle mille frammentazioni delle tipologie di lavoro, alle tante facce della precarietà: le risorse vanno prese dalla rendita, dall'evasione fiscale e contributiva, dalla tassazione dei movimenti speculativi di capitali. Privatizzazioni e liberalizzazioni, invece dei benefici annunciati dalla propaganda liberista, non sono stato altro che il modo per promuovere un gigantesco processo di sfruttamento della natura, oltre che del lavoro, all'origine di una crisi ambientale, energetica e climatica, che richiede un cambiamento radicale dei modelli di sviluppo. La crisi economica e finanziaria e le inadeguate risposte in campo dal parte del governo incidono in maniera rilevante sull’economia della nostra regione, aprendo per l’Umbria uno dei più difficili momenti della sua storia recente. Praticamente tutti i settori sono interessati da una profonda crisi dell’assetto produttivo. Sono a rischio migliaia di posti di lavoro, a partire dalle stime della Cgil che ha lanciato un grido di allarme per quasi 14mila lavoratori precari, che rischiano il posto entro il 31 dicembre. Il caso della Merloni è emblematico: con umiltà e determinazione abbiamo seguito con i compagni delle Marche tutta la drammatica vicenda, sostenendo la Fiom e i lavoratori nelle lotte, denunciando l'incapacità imprenditoriale e lo spreco di risorse pubbliche, sollecitando le istituzioni locali fino ad impegnare la Provincia di Perugia ad anticipare le risorse per la cassa integrazione, cercando di trovare le soluzioni per salvare parti consistenti del ciclo produttivo, per difendere i livelli occupazionali e per trovare una alternativa di sviluppo territoriale. Pensiamo che occorra predisporre provvedimenti che sostengano la domanda regionale, definendo un piano contro il carovita per i beni di largo consumo, una revisione delle tariffe dei sevizi pubblici, più in generale orientare i bilanci delle amministrazioni in difesa del potere d'acquisto di salari, stipendi e pensioni. Occorre uno sforzo straordinario, interventi straordinari, per contrastare congiuntamente il carovita e le crisi industriali che minacciano seriamente i livelli materiali di vita di decine di migliaia di famiglie operaie, di famiglie di lavoratori dipendenti, lavoratori con partita iva, pensionati, artigiani, piccoli esercenti. Le motivazioni regionali per lo sciopero generale sono quelle nazionali, ma non possiamo e non vogliamo dimenticare, a due anni dalla strage alla Umbra Olii di Campello sul Clitunno, il permanere drammatico della questione della sicurezza nei luoghi di lavoro, con il suo portato di "omicidi bianchi" e gravi infortuni come quello accaduto a Spello alcuni giorni fa. Ma per affrontare la crisi occorre mettere in campo uno sforzo che consenta al sistema regionale una reale svolta, con un cambiamento forte del modello di specializzazione produttiva. È urgente e necessario invertire la rotta di un modello di sviluppo che ha puntato principalmente su una ipertrofia del ciclo del mattone, con uno strapotere di lunga data delle “tre C”, cavatori, cementieri, costruttori, che hanno determinato una serie di distorsioni nella qualità del modello di sviluppo non più tollerabili: dalla bassa qualità del tessuto produttivo e degli indicatori dello sviluppo che prima abbiamo tratteggiato, primo fra tutti la drammatica compressione salariale e la pervasività del lavoro nero, all’allentamento che ha subito l’attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e alla tutela del paesaggio e dei territori che l’Umbria ha conosciuto a livelli particolarmente soddisfacenti in tempi non troppo lontani. Inoltre l'intreccio perverso tra settori imprenditoriali, con rilevanti responsabilità in Confindustria dell'Umbria, e settori dell'alta burocrazia delle pubbliche amministrazioni, anche con fatti che calpestano la legalità, impongono urgentemente alla politica un ripensamento sul funzionamento della Pubblica Amministrazione, al fine di impedire che certi comportamenti assumano un carattere strutturale, e stroncare ogni intreccio tra le amministrazioni e gli inteessi privati di pochi. Cambio del modello di sviluppo per Rifondazione comunista significa dunque la fine dei finanziamenti a pioggia e un investimento prioritario nella ricerca, nell’innovazione e un sostegno all’impresa di qualità; un’azione decisa per il sostegno dei consumi delle famiglie attraverso un controllo dei prezzi e delle tariffe contro il carovita, da una parte, e con interventi che puntino a superare il gap salariale che l’Umbria presenta nelle retribuzioni nei confronti del centro-nord; un intervento deciso per affrontare la questione della moralità del sistema politico ed economico regionale, con l’istituzione in Consiglio regionale (ma anche negli altri enti locali) di una commissione di indagine sulle infiltrazioni della criminalità organizzata per vigilare sulla regolarità degli appalti e delle varie concessioni, monitorare le irregolarità e l’estensione del lavoro nero, costituire un ulteriore argine all’infiltrazione mafiosa nel tessuto produttivo e nel sistema del credito; potenziare e adeguare il sistema del welfare regionale alle nuove esigenze della società che cambia, e purtroppo si deteriora a livello di qualità della vita, come mostrano i dati sulla povertà e la sua preoccupante diffusione nelle nostre città,. La spesa in servizi sociali in Umbria è del 20 per cento inferiore rispetto alla media del centro-nord ed ormai non riesce a garantire in maniera adeguata i diritti di cittadinanza per tutti. Molto si è fatto per l’accoglienza agli immigrati, in materia di edilizia popolare e sostegno alla locazione, nel sostegno alle famiglie in difficoltà con il fondo per la non autosufficienza, e anche con l’approvazione della legge regionale da noi proposta sui servizi odontoiatrici. Ma occorre che un nuovo modello di welfare diventi un volano per lo sviluppo: per la esigibilità dei diritti sociali vogliamo introdurre la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e vogliamo che negli indirizzi della spesa pubblica regionale venga fatta una selezione delle priorità a favore dei bisogni reali dei cittadini, delle famiglie, dei soggetti svantaggiati e in difficoltà. Ma migliore qualità della vita e sviluppo passano anche per l’indisponibilità a qualsiasi forma di privatizzazione, giustificata con esigenze ragionieristiche, di un sistema sanitario pubblico che si è mostrato efficiente e di qualità, investimento prioritario nella tutela dell’ambiente, con la revisione della legge regionale sulle cave e quella urbanistica, stanziamenti a favore delle energie alternative, sostegno al potenziamento della rete dei beni culturali e dell’immenso patrimonio artistico regionale, difesa dei beni comuni. Sulla base di quanto detto sopra risulta evidente che nel percorso che ci porterà alla difficile tornata elettorale delle amministrative della prossima primavera, che porterà al rinnovamento della classe dirigente nella gran parte dei governi delle nostre città e delle due province, poniamo fortemente l’attenzione sugli elementi programmatici e su come attrezzarsi per affrontare una crisi che anche in Umbria avrà conseguenze non secondarie. Perciò avvertiamo l’urgenza di aprire con la coalizione di centrosinistra che ha governato nell’ultimo decennio gli enti locali dell’Umbria un confronto politico programmatico che ponga al centro della discussione la necessità che anche le nostre città, le province e i territori producano una “svolta” reale nel loro governo, con la ridefinizione di obiettivi strategici ed intermedi, nei modi e nelle forme di governo. La nostra proposta è quella dell’apertura di un tavolo regionale tra le forze della coalizione per le prossime amministrative che definisca i confini della stessa, cioè la chiara delimitazione delle forze politiche che vogliono stringere l’accordo politico regionale, sulla base di contenuti programmatici realmente riformatori. Solo allora si potrà parlare di candidature e nomi. Per noi accordo regionale significa un accordo che coinvolga le due province e i comuni delle tre grandi città dell’Umbria, Perugia, Terni e Foligno. Definito tale quadro si potrà passare agli accordi sui vari territori. Accordo politico, significa invece: svolta reale nelle politiche amministrative, con misure in grado di affrontare la crisi economica e sociale che abbiamo di fronte, inaccettabilità dell’allargamento dell’accordo politico-programmatico all’Udc, pari opportunità del Prc, con la possibilità di mettere a disposizione della coalizione figure politiche comuniste e della sinistra. Ribadiamo che Rifondazione comunista si sente politicamente inconciliabile in Umbria con una forza politica, quale è L’Udc umbra, che ha qualificato la stagione di governo della sinistra come un regime cinquantennale, bloccato e sostanzialmente a-democratico e che pone fortemente a rischio la concezione, in Umbria prevalente, della laicità e dell’autonomia delle istituzioni. Per quanto riguarda la presenza e la crescita politica ed elettorale del Prc, affermiamo la necessità che il partito presenti liste con il proprio simbolo alle prossime elezioni amministrative, nelle due province e nei comuni sopra i 15 mila abitanti. Vogliamo liste aperte, che parlino alla sinistra delle associazioni e delle organizzazioni diffuse, del volontariato e delle forze sociali, perché siamo consapevoli della necessità di mettere in campo percorsi che alludano ad una ricomposizione della sinistra nella nostra regione e della non autosufficienza di Rifondazione comunista, così come del valore che il pluralismo politico della sinistra rappresenta. Però pensiamo che il Prc, con la sua forza politica e organizzata, sia imprescindibile per la rinascita della sinistra, per questo presenteremo le nostre liste, cercando di renderle ospitali per tutte quelle forze che condivideranno con noi un percorso programmatico e di azione sociale di opposizione al governo delle destre. Crediamo che ogni eventuale eccezione alla presentazione delle liste del Prc negli enti locali sopra i 15 mila abitanti dovrebbe prevedere la deliberazione e il coinvolgimento di tutti i livelli del partito. Infine il congresso regionale del Prc ritiene necessario investire sul partito e sul rilancio di Rifondazione comunista. L’appello è rivolto a tutti i compagni e le compagne che hanno a cuore il bene del partito, indipendentemente dal posizionamento al congresso di Chianciano. Dobbiamo far cerscere e radicare socialmente la nostra organizzazione, per superare lo scostamento che la politica ha prodotto in questi ultimi anni tra i problemi reali delle persone e le scelte nelle istituzioni. La separatezza della politica dal sociale si ricompone facendo uscire il partito dalle stanze buie dei circoli e da un estenuante dibattito interno e riallaccinado un legame vero e nuovo con i bisogni della gente, ritornando in piazza e facendo percepire utile il nostro agire politico. Per questo invitiamo tutto il partito a investire nella costituzione dei Gap, gruppi di acquisto popolare, e nella distribuzione popolare del pane e della pasta nelle iniziative “le piazze contro il carovita”. La politica, quella buona, non è mai stata solo rappresentanza istituzionale ma soprattutto costruzione sociale, capacità non solo di registrare le opinioni ma di operare nel concreto per trasformarle a partire dall'organizzazione sociale. Per questo proponiamo la formazione dei Gap in tutte le nostre città in modo da formare una rete di gruppi di acquisto popolare che possa ricostruire un tessuto sociale solidale e moltiplichi elementi di autogoverno consapevole per contrastare la disgregazione sociale e la guerra tra poveri che i contraccolpi della crisi rischiano di rendere generalizzata e diffusa in maniera preoccupante. La distribuzione del pane e della pasta a prezzi popolari non è carità proprio perché si propone di offrire un’azione di denuncia e di costruzione di esperienze di mutualismo e solidarietà che consentano di aggredire la crisi e contemporaneamente riorganizzare una relazione forte con i nostri ceti sociali di riferimento per la realizzazione di un progetto alternativo di società. Condividi